Ospedale di Tortona: quali concrete prospettive?

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Da alcune settimane molti Tortonesi caldeggiano la speranza, alimentata da informazioni diffuse dalla stampa locale, di poter nuovamente disporre di un ospedale che sia in grado di rispondere efficacemente ai loro bisogni di salute. Come è ben noto, tali legittime esigenze sono in ugual misura condivise dagli abitanti di Tortona e da coloro che risiedono nel territorio circostante. Si tratta di un bacino d’utenza che in questi anni è stato privato, per ragioni che i più considerano incomprensibili e tutt’altro che trasparenti, di servizi sanitari importanti, quando non essenziali. Come apprendiamo dalle notizie di stampa, una delle conseguenze di tale operazione è stato il ricorso, da parte della persone interessate, a strutture sanitarie fuori regione (la cosiddetta “migrazione” o “mobilità passiva”), con un significativo incremento della spesa a carico della Regione Piemonte.

Per tornare alle speranze dei Tortonesi, motivi di correttezza impongono di dire che, se qualcosa sembra muoversi, tuttavia non vi è ancora nulla di concreto su cui contare. In attesa di fatti, più che di parole, si può provare a pensare ad alcune carenze, a cui porre rimedio, possibilmente in tempi rapidi, e a quali servizi andrebbero incrementati o ripristinati, in modo che si possa rispondere adeguatamente alle istanze di quegli utenti che da sempre si affidano alle cure del presidio ospedaliero tortonese. Per fare ciò, ho chiesto l’opinione di alcuni medici che operano nella nostra città, i quali, sia detto subito, si sono mostrati favorevoli a una gestione pubblico-privata dell’ospedale, sottolineando nello stesso tempo il rischio (che condivido totalmente) che il progetto di attivazione di una tale collaborazione possa arenarsi per lunghissimo tempo in pastoie burocratiche (come accade regolarmente nel Belpaese). Prima di formulare alcune ipotesi sui servizi che dovrebbero necessariamente essere attivati, i professionisti da me interpellati hanno messo l’accento su alcune gravi disfunzioni e su alcuni interrogativi che gravano attualmente sul nostro nosocomio, a partire dal fatto che nel reparto di ortopedia si è talora costretti a rinviare gli interventi chirurgici per la carenza di medici anestesisti, nonostante tale reparto disponga di un’équipe altamente preparata sul piano tecnico; purtroppo lo stesso discorso vale anche per la chirurgia. Che dire poi – sottolineano i sanitari – del depauperamento di personale qualificato, medico e paramedico? Quanto agli interrogativi, ad oggi non è noto che cosa ne sarà della senologia, considerato il fatto che l’attuale responsabile ha optato per il pensionamento, né si conosce qual è il progetto di funzionamento della fisioterapia. Come si vede, i problemi sono numerosi e ciò si riflette inevitabilmente sul personale sanitario, che certamente non lavora con la serenità che dovrebbe essergli garantita.

Relativamente alle cose da fare, i medici con cui ho parlato pongono l’accento sull’urgenza del potenziamento del “pronto soccorso”, una delle cui carenze più gravi è costituita dal fatto che non è possibile fare ricorso in modo costante al supporto di uno specialista in cardiologia, poiché il reparto di cardiologia è stato smantellato. Il “pronto soccorso”, la cardiologia e la rianimazione richiedono un’attenzione prioritaria: il primo deve essere messo in grado di migliorare i propri sevizi, la rianimazione va restituita alla sua piena operatività, la cardiologia deve essere ripristinata al più presto. Cardiologia e rianimazione – rilevano i medici – rivestono un ruolo di grande importanza all’interno di una struttura ospedaliera, in quanto permettono il funzionamento ottimale degli altri reparti.

Quelle su cui mi sono soffermato sono soltanto alcune delle difficoltà che pesano sul nostro ospedale. I cittadini devono essere pienamente consapevoli della situazione in cui versa ciò che rimane di esso, situazione che possiamo tranquillamente definire “di grave criticità”.

Mi domando: quando gli stessi cittadini, anziché limitarsi a sperare, decideranno di far sentire in modo civile la loro voce, possibilmente accompagnata dalla voce dei loro amministratori?

Pier Luigi Baldi

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