Sindrome cinese

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Stiamo vivendo con apprensione le notizie della diffusione del Coronavirus, grazie a martellanti campagne di sensibilizzazione (o di allarmismo). Anche gli adolescenti, che in condizioni normali sono restii a scendere a patti con la realtà, rimangono coinvolti in questa nuova (pseudo) emergenza sanitaria.

Se a ciò si aggiunge che siamo nel periodo classico delle influenze, con sintomi molto simili a quelli dell’infezione dal virus letale, è facile venire a conclusioni affrettate.

All’inizio la cosa non sembra destare particolare preoccupazione: «Nella mia classe ci sono nove assenti: perché solo io non mi prendo mai un bel febbrone, così resto a casa una settimana e dormo tutto il giorno?». Detto fatto, esce il genio della lampada ed esaudisce il desiderio della ragazza. All’una e quindici di notte vengo svegliata da una voce gutturale: «Mamma, sto malissimo, ho freddo, tremo, mi gira la testa»: agguanto il termometro e il responso di una temperatura di 39.2 non lascia adito a dubbie interpretazioni. E qui inizia il delirio, non tanto del soggetto altamente febbricitante, quanto della sottoscritta, costretta a fare da infermiera al capezzale dell’ammalata che mostra palesi sintomi di ansia da abbandono: «Non vorrai lasciarmi a casa da sola e andare in ufficio? Sto troppo male, non riesco ad alzarmi, ho mal di testa». All’inizio del secondo giorno caratterizzato da elevato grado di bollore, mi decido a chiedere l’intervento del medico di famiglia: «Non voglio la tua dottoressa, voglio la mia»: figuriamoci se non si trovava qualcosa da contestare! «Non posso chiamare la “tua” dottoressa: non sei più in età pediatrica!». «Va be’, fai venire la tua, ma, se mi fa la puntura, urlo!»: ecco il déjà-vu di una bimbetta di tre anni con la scarlattina…

Forse anche a causa degli effetti collaterali provocati da una massiccia terapia a base di Ibuprofene, iniziano ad affacciarsi alla mente dell’inferma lancinanti dubbi: «E se avessi il Coronavirus? Hai sentito che c’è un caso sospetto ad Alessandria?». Tento di sdrammatizzare: «Sei stata in Cina di recente?». Non sortisco l’effetto sperato: «Non scherzare! Due settimane fa sono andata a mangiare il sushi e i camerieri erano cinesi travestiti da giapponesi!». Voglio imputare questa sconclusionata teoria alla febbre che non accenna ad abbassarsi e per tranquillità decido di vietare la visione dei notiziari. Finalmente il quarto giorno la temperatura scende e si inizia a tornare lentamente alla normalità: «Accidenti, quanto sono andati avanti col programma i proff! Devo rimettermi in pari! Lunedì devo andare a scuola». Non posso esimermi da una provocazione: «Di già? Ma non volevi il febbrone per saltare la scuola e dormire?».

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