Clint Eastwood e la redenzione
Il nuovo film di Clint Eastwood racconta la storia vera di Richard Jewell, guardia di sicurezza che, pur avendo salvato numerose vite nel corso di un attentato terroristico durante le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, viene messo sotto accusa da FBI e media come potenziale criminale. Richard Jewell, interpretato da Paul Walter Hauser, si inserisce tra le fila degli eroi americani che Eastwood celebra nei suoi film: personaggi comuni, non sempre speciali, ma in qualche modo predestinati a essere le persone giuste al momento giusto. Questo piace. Piace quindi il fatto che Jewell sia un uomo qualunque, pieno sia di problemi sia di sani principi che lo rendono molto vicino alla vita reale. È facile far sorgere empatia con “Richard Jewell” perché Clint Eastwood regala un alto racconto di impegno civile, uno sguardo sulla periferia americana che si distingue per tenacia e valore nonostante le crescenti difficoltà. Sicuramente è anche un film duro, impregnato di indignazione per le falle nel sistema della giustizia e per la spregiudicatezza dei media. Positivo che non ci sia retorica politica, il messaggio arriva in modo più chiaro e universale. Non è tutto perfetto, a partire dal fatto che molti temi siano già stati visti e rivisti nei precedenti film del regista. Sottile è il filo che lega la storia di Jewell con quella del pilota di linea Sully (raccontato da Eastwood nel 2016 con protagonista Tom Hanks) che, nonostante fosse stato acclamato come eroe per aver evitato un disastro aereo, fu messo sotto indagine per non aver seguito il protocollo durante un imprevisto di volo e aver messo in pericolo equipaggio e passeggeri. Essere proclamati innocenti e, di conseguenza, arrivare alla verità equivale al raggiungimento di una redenzione spirituale, alla presa di coscienza di sé ma è anche un riconoscimento per aver agito nel modo migliore. In questo film si traccia una linea netta: solo chi non ha bisogno di mentire e agisce nel bene può ambire alla redenzione.