CORONAVIRUS – La riflessione del vescovo
Pauravirus, tra fede e buon senso
Sembrava un problema lontano, preoccupante certo, ma pur sempre lontano. Poi, l’altro giorno ci svegliamo e ce lo troviamo in casa. La prima domanda, istintiva – come quando sorprendi un estraneo nella tua cucina – è stata: «Chi ti ha fatto entrare?». E come in una gigantesca caccia al tesoro siamo andati in cerca del paziente zero. Quando poi, purtroppo, il numero è salito – in base all’ultimo bollettino (25/02/2020, ore 18.00) sono in tutto 322 i contagiati, 11 i morti e 1 guarito – abbiamo cominciato a fare i conti con la paura. I sintomi del pauravirus sono piuttosto evidenti: assalti ai supermercati con relativi litigi per accaparrarsi l’ultima confezione disponibile (e non sempre di un bene di prima necessità); ossessiva incetta di mascherine e di disinfettanti, divenuta merce rara e costosissima; stordimento dei mezzi di informazione (ma è ancora informazione?) con esperti ora rassicuranti ora apocalittici; sguardi astiosi verso chi ha la sventura di lasciarsi scappare uno starnuto o un colpo di tosse, venendo così istintivamente percepito come un possibile untore.
Il Manzoni commentando nel capitolo XXXII de “I Promessi Sposi” le conseguenze della peste, così scrive: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”. Forse possiamo partire da qui: dallo scovare il nascondiglio del buon senso per farlo prevalere su di un senso comune annebbiato dalla paura. Il buon senso vuole ragionevolezza, equilibrio e prudenza: atteggiamenti che hanno poco a che fare con il panico.
È ragionevole fidarci delle autorità competenti e delle loro disposizioni: siamo abituati a discutere su tutto, siamo una popolazione di 60 milioni di commissari tecnici della nazionale e tutti abbiamo un amico medico espertissimo, ma forse in questo caso è più ragionevole fidarci delle indicazioni che ci vengono date. Non è il momento per iniziative personali che, oltre a creare possibili rischi, generano una inutile confusione: in tal senso, chiedo a tutti i Parroci di attenersi alle indicazioni date. Senza allarmismi e senza superficialità.
Abbiamo recepito le ordinanze delle Autorità regionali che impongono di non creare assembramenti di persone: tale provvedimento riguarda anche le nostre assemblee liturgiche che, per le loro caratteristiche – persone vicine tra loro, che parlano e cantano a distanza ravvicinata – sono potenziali situazioni di diffusione del virus.
Questo è per noi, comunità cristiana, un grande sacrificio: la comunità è la forma concreta della nostra comunione. L’assemblea convocata attorno all’altare ne è l’espressione più alta. Tuttavia, il non poterci radunare per la celebrazione non ci priva del bene assoluto dell’Eucaristia: ogni presbitero è invitato a celebrare quotidianamente la Santa Messa – a porte chiuse e senza la presenza del popolo – in spirituale comunione con tutti i fedeli, per implorare dal Signore la liberazione da ogni male.
La Messa non è mai una azione “privata”: tutta la Chiesa è unita all’offerta e all’intercessione di Cristo, compresi i membri che si trovano già nella gloria del cielo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369-1370). Invito tutti a sentirsi partecipi della celebrazione di ogni giorno, soprattutto in questo tempo di Quaresima, nutrendoci della Parola che la liturgia propone, in atteggiamento penitenziale, facendo opere di carità e di misericordia, e riscoprendo la pratica della comunione spirituale. Scrive Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis (n. 55): “È bene – quando non è possibile accostarsi alla comunione sacramentale (ndr.) – coltivare il desiderio della piena unione con Cristo con la pratica, ad esempio, della comunione spirituale, ricordata da Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia, n. 34) e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale. (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 80, a. 1,2; S. Teresa di Gesù, Cammino di perfezione, cap. 35.)”.
Inoltre, le nostre chiese sono aperte per la preghiera e l’adorazione personale del Santissimo Sacramento. In questo tempo penitenziale invito anche a rinnovare la grazia del battesimo attraverso la celebrazione del sacramento della riconciliazione.
Di questa limitazione, certo, non ne sentivamo il bisogno, ma, forse, l’impossibilità della partecipazione comunitaria alla Santa Messa potrebbe servire a ridestarci dal torpore di una certa abitudine alla celebrazione, per riscoprire con rinnovato stupore la grandezza del dono del Corpo di Cristo, Pane spezzato per noi. Sempre sperando, ovviamente, in una rapida soluzione.
I provvedimenti regionali riguardano, per ora, anche la prima domenica di Quaresima (1 marzo 2020): in tale situazione le pratiche che ho sopra indicato assolvono il precetto di santificare il giorno del Signore. Utile è anche la visione della celebrazione trasmessa attraverso la televisione o i siti diocesani, ben sapendo che non uguaglia in nessun modo la reale partecipazione all’assemblea liturgica. La preghiera del Santo Rosario trasmessa in queste sere dalla Chiesa Cattedrale è un mezzo per poter sentire e vivere la comunione che ci unisce, pregando insieme, ciascuno dalla sua casa, ancor meglio se riuniti come famiglia, per chiedere la protezione di Dio.
Dicevo della ragionevolezza del buon senso: ragionevole è anche seguire le norme di comportamento diffuse dal Ministero della Salute, pubblicate anche sul nostro giornale. È un modo concreto per tutelare se stessi e gli altri.
Il panico è in sé è irrazionale: è squilibrato perché tendente ad ampliare la realtà senza misura; è privo di prudenza perché toglie lucidità. Invito, ancora, tutti ad avere equilibrio e prudenza.
Permettete un’ultima parola: all’inizio della Quaresima ci cospargiamo il capo di cenere. È un gesto penitenziale che dice anche la nostra caducità: «Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai». Viviamo normalmente in un atteggiamento di onnipotenza, in una ricerca, a volte patetica, di eterna giovinezza, preoccupati più che della salvezza eterna del momentaneo benessere. Poi, arriva un nemico invisibile che con uno sternuto ti ricorda che in realtà siamo fragili, deperibili, che la malattia fa parte della vita e deve essere vissuta. Questa esperienza di caducità deve essere collocata, per poterne trovare il senso vero, nella prospettiva del fine ultimo della nostra esistenza che, nel desiderio di Dio, è la comunione con Lui, Santissima Trinità. C’è una paura “salutare” che è quella che ci rende coscienti del nostro bisogno di vita ma di vita vera, quella che non teme nemmeno la morte. L’amore di Dio ci ha chiamato all’esistenza e ha fatto e fa di tutto per farci rimanere nel suo amore. Siamo in buone, ottime, mani.
Vi benedico.
+Vittorio