Buck, cane al computer

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“Il richiamo della foresta”, come è noto, è tratto dal famoso romanzo di Jack London del 1903. Anche in questa nuova pellicola protagonista indiscusso è Buck, cane dal grande cuore e possente incrocio tra un San Bernardo e un Pastore Scozzese. Viene portato via dalla sua casa in California dove viveva una tranquilla vita domestica; sballot-

tato in Canada, dove impazza la corsa all’oro, è venduto come cane da slitta. Poi cade nelle mani sbagliate finché, grazie al rapporto con un uomo solitario di nome John, troverà il proprio posto nel mondo.

Con lui si spingerà in un viaggio che li porterà, grazie alla fiducia e all’amicizia reciproche, ad accettare il passato e a cogliere nuove occasioni. Mi chiedo: era necessaria la “computer grafica”, da molti giudicata un punto di forza? Un film in cui gli uomini interagiscono con i cani sarebbe più semplice farlo alla vecchia maniera, con cani veri e addestrati che “recitavano” ed erano anche bravissimi. La computer grafica conferisce ai cani delle espressioni che gli animali, per quanto “sensibili”, non riuscirebbero a riprodurre, ma fa venir meno quella naturalezza che ci si attenderebbe da un film come questo. Così qui Buck diventa qualcosa di più che un animale sullo schermo, ma un personaggio a tutti gli effetti. Il segreto è che, dietro ai movimenti del cane, c’è una persona reale: è la tecnica detta “performance capture”. Nel complesso il film funziona: ha dalla sua parte una storia emozionante e densa di poesia. Messaggio semplice, quello del rispetto per la natura. Buck è simbolo di fierezza, accetta e affronta le difficoltà della vita, si prende cura dei più deboli, diventa più coraggioso senza stravolgere la sua inclinazione “gentile”. Poi è la prima volta che vediamo Harrison Ford nel ruolo di un anziano: ha i capelli bianchi, una folta barba e rughe in vista. Tornerà presto in uno dei suoi personaggi di gioventù, “Indiana Jones”, ma questa interpretazione apre le porte a una nuova fase della sua carriera.

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