Libertà e bene comune
Il messaggio del Vescovo per il 25 Aprile
Che il 25 aprile 1945 sia per il nostro Paese un evento di enorme portata – e, quindi, complesso nella sua valutazione – lo dimostra anche il fatto che, a distanza di 75 anni, non riusciamo ancora a svilupparne una memoria condivisa. Eppure alcune evidenze dovrebbero imporsi.
Non dovrebbe essere opinione di qualcuno affermare che il 25 aprile segna la fine di una guerra ingiusta e il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che quella primavera del 1945 è arrivata perché nel lungo inverno della guerra molti italiani hanno creduto – pagando questa convinzione anche con la vita – che il riscatto della nazione avrebbe potuto realizzarsi solo in una forte opposizione, anzitutto morale, contro il nazi-fascismo.
Intendiamoci: non ci serve una vuota retorica di parte – di qualunque parte – che idealizzi una esperienza senza voler vedere il limite che c’è in tutte le cose degli uomini, capaci sempre di mescolare ideali alti e bassi istinti, come accade in ciascuno di noi. Ci serve, piuttosto, non permettere che questo tempo venga derubato della “fe-sta” della Liberazione. Guardando le fotografie delle nostre città in quel giorno di primavera, si comprende molto della forza di questa festa. Certamente non cancella le ferite di una guerra che ha spaccato il paese, che ha fatto martiri alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema e in tanti altri luoghi, che ha chiesto il sacrificio di uomini e donne, di giovani e anziani, di militari e studenti, di ogni ceto sociale, di diversa formazione culturale, religiosa e politica. Quel far festa per la Liberazione ha, tuttavia, la forza di dare a tutto questo dolore un senso profondo, un valore autentico, che non possiamo permetterci di disperdere. Per questo è importante fare festa per quella rivolta morale che ha conquistato per noi la libertà.
Tanto più in questo tempo nel quale viviamo un evidente paradosso. Da una parte abbiamo molte possibilità di esprimere la nostra libertà: penso, ad esempio, alle Istituzioni democratiche, alle diverse forme di partecipazione, alla facilità di accesso all’informazione. Dall’altra sono sempre più inquietanti i segni di una effettiva limitazione della libertà: penso, ad esempio, al moltiplicarsi dei fenomeni di massificazione sociale, di omologazione culturale, di induzione dei bisogni, di annebbiamento delle coscienze.
Di fronte a queste privazioni di libertà siamo chiamati ad una nuova resistenza. Per non rischiare di perdere la libertà vanificando il sacrificio di quanti hanno lottato per ottenerla, non basta ricordare da che cosa siamo stati liberati: dobbiamo sapere per che cosa, per quale fine, siamo stati liberati.
La Resistenza ci ha liberati dal nazi-fascismo, la Carta costituzionale ci ricorda che siamo liberi per costruire una nazione fondata su quei principi che essa custodisce.
A sentire certi discorsi sia nei bar delle nostre città (o, se preferite, nei nostri social), sia nelle aule delle nostre Istituzioni – e penso che dobbiamo preoccuparci quando il secondo livello sembra appiattirsi sul primo – viene il dubbio che il Paese descritto dalla Costituzione non sia davvero il sogno condiviso da tutti quelli che lo abitano. La libertà conquistata non può essere intesa passivamente o assolutizzata in se stessa: deve essere finalizzata al bene comune. E qui la questione riguarda la visione che abbiamo dell’uomo e le sue relazioni fondamentali: quella con gli altri, con il creato e con Dio. Da credente so che nella Pasqua sono stato liberato dalla dittatura più spietata di sempre: quella del peccato e della morte. So che la libertà ha come fine la carità, l’amore: il bene dell’altro non è un limite alla mia libertà, ma il suo fine ultimo che mi garantisce un modo più alto e più perfetto di esercitarla. So che la vera libertà sta nel vivere l’amore che ci ha liberati.
Il 25 aprile chiede a ciascuno di continuare la festa iniziata 75 anni fa nell’impegno politico, sociale e culturale. Per questo siamo stati liberati.
Vittorio Viola