Mi vuoi tutta ciccia e brufoli?

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Così recitava una martellante pubblicità de-gli anni ’90: oggi, invece, giungono notizie allarmanti sui disturbi alimentari negli adolescenti, che si autoinfliggono regimi al limi-te della sopravvivenza per rientrare nei presunti canoni di bellezza imposti dai social e dalla moda. Siamo tempestati da immagini di corpi perfetti: non è facile riuscire a far passare il messaggio che si tratti di fotografie ritoccate con Photoshop: la tentazione per le ragazze è quella di provare ogni espediente per assomigliare a questi irrealistici modelli. Il problema diventa ancor più stringente in prossimità dell’estate e l’assillo è direttamente proporzionale ai centimetri di epidermide che vengono progressivamente scoperti. Se negli anni scorsi la soluzione si limitava a eliminare i dolci per 4 o 5 giorni, quest’anno, complici gli stravizi gastronomici del lockdown, che ci hanno resi meritori di uno stallo nel girone dei golosi, viene richiesto un intervento drastico. Infatti, alla ripresa degli allenamenti: «Non mi sento in forma, sono pesante, fatico a nuotare a farfalla: da oggi mi metto a dieta!». Diplomaticamente procrastino di qualche giorno la contromossa, ma, quando vedo impiattare dalla ragazza 40 grammi scarsi di spaghetti sconditi, intervengo a piè fermo: «Così non ci siamo: se vuoi rimetterti in forma consultiamo uno specialista che ti consigli un regime adatto». Si mostra stranamente arrendevole, pur iniziando con fosche elucubrazioni: «Vedrai che schifo: mi dirà di mangiare i semini, le bacche e tutte quelle robe vegane che vanno di moda. Morirò di inedia!». La rassicuro dicendo che ci stiamo rivolgendo a una nutrizionista sportiva, non a un ornitologo. L’impatto è positivo: si evince che le abitudini alimentari sono troppo sbilanciate a favore dei carboidrati e a discapito delle proteine. Non viene imposta alcuna rigida restrizione, tipo Fantozzi e dottor Birkermaier, ma una ridistribuzione delle percentuali degli alimenti. Armata di buona volontà, anche io mi devo adattare a rimodulare gli acquisti e la preparazione dei pasti, rimpiangendo spesso la classica cofanata di pasta, non tanto per il sapore, quanto per la comodità di approntamento. Per solidarietà la famiglia decide di adeguarsi a una temporanea dieta proteica e tutto fila liscio fino alla sera in cui sono previste le sogliole. Verificando che queste hanno un costo immorale, decido di destinarle solo alla ragazza, mentre per noi adulti acquisto un pesce di più basso lignaggio. Ma le mie altruistiche intenzioni vengono affossate: «Perché io ho mangiato un pesce anemico da operato d’appendicite, pieno di lische e voi un bel pesciotto carnoso e morbido? La prossima volta lo voglio an-che io!». Forse erano preferibili la ciccia e i brufoli?

Silvia Malaspina

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