Nessuno mi può giudicare

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Sulla copertina di un recente numero di Vanity Fair è apparsa in versione nature l’attrice Vanessa Incontrada, brandendo come slogan contro il body shaming il titolo di questo vecchio successo del casco d’oro dell’italica canzonetta.

Personalmente ho apprezzato sia l’immagine, priva di ogni volgarità, sia il messaggio veicolato: è purtroppo rispondente a verità che noi signore siamo giudicate in prima battuta per l’aspetto fisico, oggetto di commenti e illazioni: troppo alte, troppo basse, troppo magre, troppo grasse, troppo vestite, troppo discinte e con questa sgradevole tendenza ci relazioniamo fin da ragazzine.

La fanciulla non si è mai conformata al modello dominante e si è scontrata con la riprovevole tendenza alla critica dell’aspetto fisico già a 9 anni: una compagna, deridendo la sua imponenza, mutò il suffisso del suo nome in “ona” e altre bambine ne seguirono la scia, provocandole disagio e conseguenti prodromi di un disturbo alimentare che la pediatra riuscì a bloccare sul nascere, ma che a me sottrassero parecchie ore di sonno.

Tale particolarità fisica si è ripercossa anche sul carattere: le sono sempre state avulse le malizie, i pettegolezzi, le piccole vendette: in caso di diverbio la soluzione arriva drastica, mediante il perentorio invito a mettersi in viaggio per il famoso paese e la persona controversa viene semplicemente depennata dalla sua esistenza. Tale comportamento le ha attirato molte amicizie maschili e altrettante inimicizie femminili: pertanto si è assuefatta negli anni ai giudizi, spesso tran-chant, delle coetanee nei suoi confronti.

Non si è fatta quindi scappare l’occasione di commentare anche quest’ultimo fatto: «Hai visto la Incontrada in copertina? È stupenda! Senza trucco, senza filtri, una donna vera! Dovrebbero prendere esempio quelle che si vedono in televisione: si sono tutte fatte lisciare e si fanno sistemare le luci sotto la faccia, così sembrano più giovani: ha ragione la Littizzetto quando dice che quelle non vanno in onda, ma appaiono!». Mi sembra opportuno trovare la classica quadratura del cerchio: «Va be’, ognuno cerca di fare ciò che lo fa sentire meglio, vedi che alla fine anche tu giudichi?».

Parte lancia in resta il prode Orlando: «Io non giudico, perché ho provato sulla mia pelle cosa significa: mi limito ad analizzare i fatti e ti dico che in fondo tutto torna: ti ricordi quando le principesse mi prendevano in giro perché ero troppo alta e troppo robusta e loro erano bamboline tutte infiocchettate? Adesso non ridono più: io ho uno stacco di gamba da paura e gran parte di loro è rimasta alta quanto un tavolino da salotto!». Direi che per questo grado di giudizio non esista possibilità di appello in Cassazione…

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