«Che meraviglia se noi e i nostri avversari parliamo lo stesso linguaggio?»
Ottobre: i discorsi di Agostino Depretis che hanno fatto la storia, pronunciati durante i banchetti per gli elettori a Stradella
Ottobre è il mese dei discorsi di Agostino Depretis. La storia ce li propone quali testimonianze del suo credo politico e delle svolte nella sua azione parlamentare. E poiché Depretis è stata una tipica figura di oltrepadano e stradellino, è opportuno ricordare il significato dei suoi discorsi per mettere a fuoco un personaggio troppo dimenticato, mentre le vicende della politica ce ne ricordano tutta l’attualità.
A Stradella durante i banchetti per gli elettori egli espone le linee politico-amministrative che costituiscono le premesse più importanti per quelle svolte che decideranno il futuro della vita politica italiana: i famosi discorsi pronunciati agli elettori del suo Collegio elettorale nell’ottobre 1875, nell’ottobre 1876 e nell’ottobre 1882 ai quali seguirà, dal Circolo Monarchico di Roma quello del maggio 1886.
L’11 ottobre 1875 gli elettori di Stradella gli offrono un banchetto, ricordato con una targa nel cortile del palazzo Isimbardi che era stato da poco acquistato dal Comune, durante il quale Depretis pronuncia il primo discorso politico importante da leader dell’opposizione. Rende conto ai presenti, 120 fra amici e deputati di tutte le regioni, dell’attività svolta durante l’ultima legislatura dai banchi dell’opposizione. «Raggiunte le due grandi questioni dell’indipendenza e dell’unità dell’Italia, restano ancora da risolvere grandi problemi economici e politici», afferma Depretis e fa professione di fede liberale e progressista, si propone quale rappresentante dell’Italia minore, delle necessità delle piccole città e delle officine, della borghesia che, dice, «ora è l’Italia». E conclude affermando che il partito dell’opposizione deve pensare di andare al Governo «con la bandiera spiegata», per la sua forza ideale.
Non sarà così. Il 25 marzo 1876 Depretis sarà chiamato improvvisamente a costituire un Ministero dal re Vittorio Emanuele II, senza il ricorso ad elezioni democratiche, dopo la caduta del Governo della Destra presieduto dall’on. Minghetti. Il Re, che dal Quirinale dirigeva Governo e Parlamento, conosceva Depretis, ne apprezzava il pragmatismo e la moderazione, la vicinanza alla monarchia e lo aveva visto all’opera durante i Governi moderati degli anni ’60 nei quali Depretis aveva ricoperto ruoli di ministro.
Non fu un colpo di Stato, ma una piccola forzatura dello Statuto Albertino.
Nei primi sette mesi di Governo Depretis si rese conto che, di fronte alle divergenze fra gli amici più intransigenti, Nicotera, Crispi, Cairoli e quelli più moderati, Mancini, Rattazzi di Tortona e altri, occorreva maggiore collaborazione, quindi chiese lo scioglimento della Camera. Ecco il secondo discorso programmatico di Stradella dell’8 ottobre 1876, in vista delle elezioni ed ecco le prime ambigue aperture a una maggioranza allargata. Non è ancora l’avvio del Governo del Trasformismo, non vi sono ancora accordi sottobanco con l’On. Minghetti, ma Depretis si chiede come potrebbe respingere i voti di chi la pensa come lui anche se milita nella Destra. «Che male c’è ad accoglierli nelle nostre file, a considerarli come aiuto alle nostre forze, come una collaborazione utile al compimento di quello che è una parte del nostro antico programma?». Alle elezioni del novembre ’76 ottiene una maggioranza schiacciante che premia il nuovo corso, la prima svolta della politica progressista verso i lidi della moderazione e del pragmatismo. La Destra aveva esaurito la sua missione storica: l’unificazione amministrativa del Paese e il pareggio del bilancio dissanguato dalle spese di guerra. Si faceva sentire la mancanza di un leader dopo Cavour, il disimpegno della Francia, la crisi economica e il nuovo potere dell’industria pesante che chiedeva il protezionismo.
Iniziata la svolta a sinistra Depretis, politico di lungo corso, pensa già ai mezzi e agli accordi per mantenere e allargare i consensi elettorali quando dovrà imporre agli italiani, anche a quelli del Mezzogiorno che lo avevano votato in massa, le restrizioni che la crisi economica richiede. «E io spero che le mie parole potranno facilitare quella concordia, quella feconda, trasformazione dei partiti, quella unificazione delle parti liberali della Camera che varranno a costituire la tanto invocata e salda maggioranza». Per la prima volta cita la trasformazione dei partiti e l’unificazione degli schieramenti liberali: è l’accenno alla prossima svolta moderata. E, quasi a giustificare il proprio pensiero, afferma: «Che meraviglia, o signori, se noi e i nostri avversari parliamo lo stesso linguaggio? Siamo dello stesso Paese, viviamo della stessa vita».
Queste idee espresse da Depretis con coraggio, consapevole che sarebbero suonate sgradite alle orecchie dei colleghi della Sinistra storica, i Crispi, i Cairoli, i Nicotera, furono riprese e ribadite nel terzo discorso di Stradella dell’8 ottobre 1882, in occasione delle elezioni della XV legislatura con suffragio allargato, non ancora universale, che lo stesso Depretis definì il «suffragio universale possibile». Il terzo discorso fu esposto nel corso di un banchetto offertogli dagli elettori stradellini riuniti in un Comitato con tutti gli onori dovuti a un cittadino che ricopriva la carica di presidente del Consiglio dei Ministri. Depretis non delude i presenti ricordando anzitutto il famoso discorso del 1876, «l’antico mio programma, il discorso della speranza».
È l’occasione per ribadire la scelta della concordia, della trasformazione dei partiti, dell’accoglienza dei voti dei moderati che ha consentito la politica della difesa dei ceti più deboli e il miglioramento del benessere individuale e sociale. Non manca poi di ribadire gli elogi alla monarchia sabauda, «la più antica e liberale d’Europa», che gli varrà la visita, nell’anno successivo, nella sua casa in Stradella del re Umberto proveniente dalla pianura vogherese dove presenziava alle manovre militari. E annuncia le riforme che attuerà dopo le elezioni con il Governo frutto degli accordi detti del “Trasformismo”: pace in politica estera, sviluppo dell’agricoltura e delle manifatture, riforma della giustizia, ordine pubblico, sviluppo delle strade ferrate, istruzione popolare. L’obbiettivo era soddisfare i vecchi e i nuovi elettori del suo costituendo Partito unitario per isolare sia a destra i clericali più intransigenti sia la Sinistra radicale e repubblicana decisa a sovvertire l’ordinamento monarchico e democratico del giovane Stato Italiano.
Le elezioni a suffragio allargato del 1882 assecondarono i progetti di Depretis che ebbe 331 deputati favorevoli ai quali si unirono i 144 della Destra lasciandone 33 alla Sinistra estrema. Da allora Depretis presidente del Consiglio riuscì a governare il Paese fra dissensi e rimpasti dei Ministeri, dimissioni e riconferme, nonostante il Paese attraversasse un periodo di crisi economica, di sfaldamento dei partiti, di decadenza del Parlamento, contrastato da feroci critiche dei vecchi amici della Sinistra costituitisi nella pentarchia. Nel discorso elettorale del 1886 tenuto a Roma così riassunse l’operato dei suoi Ministeri negli anni precedenti: «Si sarebbe potuto fare di più e meglio se fin dalla prima salita al potere il Governo avesse avuto l’appoggio di una maggioranza concorde, ferma, disciplinata, e non travagliata da nervose impazienze». E si consola chiedendosi: «Che colpa ho io se faccio delle cose buone così che fino gli avversari debbano approvarle?». Oggetto delle critiche e delle accuse per i «colpevoli amori con la Destra» come scrisse Il Pileo, giornale di Broni, interprete del pensiero dell’On. Cavallotti, era la nuova svolta politica del Trasformismo nata dopo le elezioni del 1882, ma in embrione già nel secondo discorso di Stradella. Più obbiettivamente afferma lo storico Sabbatucci: «Depretis aveva portato i moderati di ambo le parti a fare blocco al centro, frutto della sua fedeltà alle istituzioni contro il pericolo delle forze escluse dall’area della legittimità». Depretis, dopo la morte, ebbe l’elogio anche dei giornali francesi: «Con lui scompare l’ultimo continuatore della politica di Cavour».
Ettore Cantù