«Tempo di speranza e di rinascita»
Il “Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia” del Consiglio Permanente della Cei: la Chiesa, ancora una volta, è vicina a chi soffre
«Fratelli e sorelle, vorremmo accostarci a ciascuno di voi e rivolgervi con grande affetto una parola di speranza e di consolazione in questo tempo che rattrista i cuori. Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro. (…) Ai componenti della Comunità cristiana cattolica, alle sorelle e ai fratelli credenti di altre Confessioni cristiane e di tutte le religioni, alle donne e agli uomini tutti di buona volontà, con Paolo ripetiamo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12)».
Si apre con queste parole il “Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia” diffuso martedì 24 novembre dal Consiglio Permanente della Cei. È rivolto alle comunità ecclesiali per sostenere il cammino della Chiesa in un periodo “sospeso”, ma che può diventare di rinascita. Il testo spiega in modo chiaro che quello che stiamo attraversando oltre che un «tempo di tribolazione», è anche un «tempo di preghiera» e un «tempo di speranza e di possibile rinascita sociale».
«Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno».
Il pensiero dei vescovi italiani è stato rivolto «a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa», lasciando il passo alle parole di Francesco tratte dalla Laudato si’, in cui il Pontefice sottolinea come sia «attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante».
In questo «tempo di tribolazione» l’invito è a reagire perché «anche in questo momento la Parola di Dio ci chiama a rimanere saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo (cfr. Eb 12,2) per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi. Se anche non è possibile muoversi spediti, perché la corrente contraria è troppo impetuosa, impariamo a reagire con la virtù della fortezza». Nelle loro parole i vescovi auspicano che sia anche un tempo di preghiera. In particolare, l’invito è alla supplica per le famiglie poiché «il bene della società passa anzitutto attraverso» la loro serenità. Da qui, la speranza della Cei «che le autorità civili le sostengano, con grande senso di responsabilità ed efficaci misure di vicinanza, e che le comunità cristiane sappiano riconoscerle come vere Chiese domestiche, esprimendo attenzione, sostegno, rispetto e solidarietà».
I vescovi citano direttamente la recente Enciclica Fratelli Tutti, di Papa Francesco avvertendo il pericolo che «il si salvi chi può» si trasformi nel «tutti contro tutti».
In questo contesto, prosegue il messaggio, i cristiani sono interpellati a portare anzitutto «il contributo della fraternità e dell’amore appresi alla scuola del Maestro di Nazareth, morto e risorto». «Al centro della nostra fede c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù».
I vescovi parlano di tempo di speranza perché «non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana». Un invito che rivolgono in modo particolare agli operatori della comunicazione.
L’ultimo aspetto proposto e analizzato fa riferimento a un tempo di possibile rinascita sociale: «Insieme a molte fatiche pastorali, sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo: materiali, affettive, psicologiche, morali e spirituali». «I presbiteri, i diaconi, i catechisti, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali e della carità stanno impegnando le migliori energie nella cura delle persone più fragili ed esposte: gli anziani e gli ammalati, spesso prime vittime della pandemia; le famiglie provate dall’isolamento forzato, da disoccupazione e indigenza;
i bambini e i ragazzi disabili e svantaggiati, impossibilitati a partecipare alla vita scolastica e sociale; gli adolescenti, frastornati e confusi da un clima che può rallentare la definizione di un equilibrio psico-affettivo mentre sono ancora alla ricerca della loro identità».
Al termine del messaggio la Cei chiede a ogni cristiano «un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo.
È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti, infatti, verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo».
Per i cattolici, dunque, «conta testimoniare che l’unico tesoro che non è destinato a perire e che va comunicato alle generazioni future è l’amore, che deriva dalla fede nel Risorto».
Daniela Catalano