Adesso vogliono stabilire il tempo per morire

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Suicidio assistito. In Francia e in molte regioni d’Italia viene richiesta una normativa che regolamenti il fine vita. Davanti a una tale decisione non possiamo tacere: la vita è un diritto e la morte va accolta non somministrata

DI DANIELA CATALANO

Il libro del Qoelet nella Bibbia dice che “c’è un tempo per nascere e un tempo per morire”. Oggi quel tempo è diventato motivo di scontro e di discussione. Proprio lunedì 4 marzo la “laicissima” Francia ha stabilito che sarà la Costituzione a decidere quando “è tempo di nascere”. E per morire? Sta pensando a legalizzare l’eutanasia.

Anche in Italia, in questi primi mesi dell’anno, è preoccupazione diffusa decretare il tempo della morte. In molte regioni, infatti, è a gran voce richiesta una normativa che regolamenti in modo chiaro il suicidio medicalmente assistito. L’ultima in ordine di tempo che ne ha invocato la stesura è la Liguria. Intanto la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna secondo una recente delibera, ha provato a misurare questo tempo, stabilendo che saranno “quarantadue i giorni che intercorreranno tra l’espressione del desiderio di un malato di morire e il momento in cui si potrà attuare l’esecuzione della procedura di suicidio medicalmente assistito”.

Il progetto di Legge regionale che sta facendo discutere emiliani e romagnoli è lo stesso che è stato presentato in numerosi consigli regionali italiani. Il testo nasce da un’iniziativa popolare promossa dall’associazione “Luca Coscioni”, impegnata nella campagna nazionale “Liberi fino alla fine” che ha come obiettivo dichiarato la legalizzazione dell’eutanasia. La proposta finora è stata portata avanti in 15 Regioni, in 7 delle quali gli organismi rappresentativi hanno deciso di avviarne l’esame: 2 Regioni l’hanno già bocciato (Veneto e Friuli Venezia Giulia), in altre 5 (Piemonte, Emilia Romagna, Abruzzo, Toscana e Lombardia) si sta procedendo con l’iter. 8 Regioni hanno visto il deposito della proposta di legge per iniziativa di consiglieri regionali o di Comuni: Liguria, Sardegna, Basilicata, Lazio, Val d’Aosta, Puglia, Marche e Calabria. Nel Lazio era stata depositata lo scorso novembre, mentre in Liguria la discussione in Commissione Salute è partita il 19 febbraio e in Piemonte due giorni dopo. La Legge 219/2017, che disciplina il consenso informato, ha aperto la strada alla pronuncia della Corte Costituzionale relativa all’articolo del codice penale (580) che, riprendendo un antico umano e ragionevole principio, sanziona la condotta di chi determini la morte di persona consenziente, in considerazione della non negoziabilità della vita.

La Corte, con la sentenza 242/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale nella parte in cui non esclude che sia punibile chi, con le modalità previste dalla Legge 219/2017, agisce offrendo aiuto all’aspirante suicida se il proposito è maturato autonomamente e liberamente e la persona interessata. In assenza di una Legge specifica del Parlamento in materia, si sono mosse le Regioni che stanno valutando norme generali di codificazione e disciplina del suicidio assistito, senza avvertire il timore del conseguente crollo di tutto il sistema dei diritti umani.

Ma è, davvero, possibile gioire del diritto alla morte? Forte e deciso è il “no” a eutanasia e suicidio assistito di Papa Francesco, che ha sfidato apertamente e coraggiosamente il pensiero “progressista” chiarendo che non c’è alcuna dignità nel suicidio e nello scartare anziani e disabili, criticando più volte la cultura dello scarto che «propone una “falsa compassione”, ritenendo un atto di dignità procurare l’eutanasia». In particolare, durante l’Udienza generale del 9 febbraio 2022, ha ribadito che non c’è un diritto alla morte e ha spiegato la differenza tra l’aiuto per alleviare le sofferenze della morte e il suicidio assistito: «Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. Infatti, la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti».

Anche il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e, come arcivescovo di Bologna, membro della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna, nei giorni scorsi, in merito alle scelte regionali, ha espresso la sua posizione: «Noi gioiremo solo per il diritto alla vita, quando questa viene protetta dalla sofferenza da cure adeguate che diano dignità fino alla fine, perché la cura è il vero diritto. La realtà del malato grave e inguaribile richiede non solo la presa d’atto dell’assenza di una terapia capace di restituirgli la salute o di prolungargli la vita ma anche l’esigenza di prodigargli le cure più idonee, senza desistenza assistenziale, né ostinazione irragionevole».

E in questi giorni tutti i vescovi dell’Emilia-Romagna, riuniti a Roma per la Visita ad limina, hanno diffuso una Dichiarazione dedicata al fine vita. “Il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, – scrivono – specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia”. “Lì la società è chiamata a esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società. Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica”. Con la Dichiarazione, i vescovi intendono “offrire” un contributo, “sulla base della condivisa dignità della persona e del valore della vita umana, rivolgendosi non solo ai credenti ma a tutte le donne e gli uomini”. “La soluzione – incalzano i vescovi – non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione, e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso d’inutilità o di peso a quanti soffrono. Tale prossimità e le ragioni che la generano hanno radici nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona”.

Sulla possibilità di una Legge sul fine vita si è espresso anche don Massimo Angelelli, direttore Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, convinto che prima delle norme, vada fatto tutto il possibile perché le persone vengano sollevate dal loro stato di sofferenza. «Credo che debba essere molto chiaro a tutti– ha dichiarato – che la morte medicalmente assistita non è un gesto di cura: l’impegno della sanità è guarire dove possibile e curare sempre. Se c’è una persona che ha un’istanza diversa andrà trovata una risposta diversa: un medico non può essere costretto a far morire il suo paziente, per il Servizio sanitario è una finalità innaturale. Se venisse normato un percorso del genere, non può essere il Servizio sanitario che lo eroga».

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