Affacciati al balcone

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“Affacciati al balcone, rispondimi al citofono”, così cantava Jovanotti in una delle sue hit più famose: tralasciando la seconda parte, poiché in questi travagliati giorni nemmeno i testimoni di Geova si azzardano a scampanellare, l’affaccio è divenuto il nuovo passeggio impostoci dalla quarantena.

Dopo aver impiegato un paio d’ore per ripulire il terrazzo dai residui invernali di ragnatele, foglie secche, piantine ormai ridotte al-lo stato fossile e aver attrezzato uno spazio, seppur ridotto, comunque vivibile e piacevole, la ragazza, appena terminato il pranzo, vi si catapulta e, complici le miti temperature primaverili, vi trasferisce tutte le attività pomeridiane. Noto che è in buona compagnia: nel nostro palazzo, che, scaturito dalla scriteriata edilizia della fine degli anni Sessanta, è dotato di sette piani per ventun appartamenti, i balconi sono popolati a tutte le ore del giorno. I rapporti con il vicinato, pri-ma limitati a frettolosi saluti in entrata o in uscita e a banali convenevoli in ascensore, si sono vivacizzati, improntandosi a una sconosciuta cordialità. Naturalmente lo spirito critico dell’adolescente non si lascia intenerire dalla confidenza con i condomini, ma dà il meglio di sé nell’osservazione di questa nuova vita sul dehor: «Hai visto cos’hanno steso quelli del quarto piano? Solo biancheria intima: avranno mangiato qualche yogurt scaduto!» e ancora: «Ma qui sotto cosa stanno cucinando? Topi morti? Senti che odore!».

La vicinanza con famiglie che, come noi, so-no costrette per la maggior parte della giornata tra le mura domestiche, riserva inattesi risvolti: la ragazza infatti entra ben presto in rotta di collisione con chi soggiorna sul balcone adiacente: «Vieni a sentire! È il terzo giorno che questa qui che cura la vecchia (tradotto: la badante che assiste la novantaquattrenne signora nostra dirimpettaia) a-scolta non so quale Messa nella sua lingua: è una roba lunghissima, anche cantata e dura quasi tre ore!». Mi premuro di verificare ed effettivamente dal balcone vicino si ode una solenne liturgia, direi ortodossa, in un idioma che potrebbe essere russo o equipollente.

Cerco di venire a patti: «Fai la brava, sono giorni difficili per tutti. Rientra in casa e vai a studiare nella tua camera». La ragazza brontolando si ritira in buon ordine, ma…  la vendetta è un piatto che va gustato freddo e la mattina della Domenica delle Palme vedo che si siede sul terrazzo con il telefono e la cassa amplificatrice. Temo il peggio: «Non vorrai metterti ad ascoltare quella robaccia che ti piace sul balcone e per di più ad alto volume?». Sorrisetto volpino: «Ma va’… tra poco inizia la celebrazione delle Palme: adesso attacco la cassa e poi vediamo chi ha la Messa più lunga!».

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