Alle scuole paritarie chi ci pensa?
Nessuno se ne occupa. Invece sono un patrimonio per la comunità e una fonte di guadagno per lo Stato. Ma se non si interviene rischiano di chiudere
Il Coronavirus rischia di infliggere un duro colpo anche alle scuole paritarie. Non sembri una valutazione che stride con la gravità della bufera che si sta abbattendo sull’Italia e sul mondo. Ne va della “salute” sociale ed economica delle famiglie che hanno scelto le paritarie per l’istruzione dei propri figli.
Gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione parlano di 12.564 scuole paritarie nel nostro Paese che accolgono 866.805 studenti di cui la fetta maggiore si colloca nel segmento della scuola dell’infanzia, compresi asili e scuole materne, con 160.000 lavoratori tra docenti e personale scolastico. La maggior parte di questi istituti è di ispirazione cattolica.
Anche nella nostra diocesi sono presenti: l’Istituto diocesano “Santachiara” (con le sedi di Tortona, Voghera, Stradella e Serravalle Scrivia), il “San Giuseppe” a Tortona, le Benedettine e le Agostiniane a Voghera.
Nel decreto “Cura Italia”, uno degli ormai famosi Dpcm, i Decreti del presidente del consiglio dei ministri, non è previsto alcun sostegno diretto alla scuola paritaria, fatto salvo il contributo di 2 milioni di euro per la didattica a distanza.
Con le scuole chiuse, a marzo ha pagato la retta il 30% delle famiglie, ad aprile pressoché nessuno, anche tra chi sta usufruendo della didattica online. Sono dati di Confindustria che riguardano soprattutto asili e materne, i più esposti alla crisi. Se continua così, più della metà degli asili a settembre sarà costretta o a non riaprire o ad aumentare sensibilmente le rette. Massiccio in queste settimane il ricorso alla cassa integrazione.
Da notare, al riguardo, che molti dipendenti messi in cassa ad oggi non hanno ancora visto l’ombra di un quattrino a causa di ritardi che rimangono inaccettabili, nonostante le scuse del premier Conte.
L’allarme è serio se è vero che il 30% degli istituti paritari rischia a settembre di non suonare la prima campanella con 300.000 studenti costretti a spostarsi altrove, per la gran parte nelle scuole statali. Per lo Stato accoglierli costerebbe la non esigua cifra di 2,3 miliardi di euro, ai quali andrebbero aggiunti i costi degli ammortizzatori sociali per i circa 40.000 disoccupati che la chiusura provocherebbe.
A stridere è quindi la mancata – per ora – risposta dello Stato.
Già, perché non è sbagliato affermare che la scuola paritaria è un buon affare per le casse statali, se consideriamo – sono dati dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – che uno studente della scuola paritaria costa allo Stato 500 euro all’anno, mentre sono 8.200 gli euro che lo Stato spende per ogni alunno iscritto negli istituti pubblici.
Non serve essere dei geni della matematica per fare due conti e capire come lo Stato con le paritarie risparmi. E pure molto. In buona sostanza, in assenza di un aiuto straordinario alla scuola paritaria, a pagarne le conseguenze saranno quella pubblica e i cittadini.
In questi ultimi giorni gli appelli al Governo si sono moltiplicati. Ad iniziare da quello della Conferenza Episcopale Italiana che, per bocca del suo sottosegretario don Ivan Maffeis, ha fatto notare come «le voci dei vescovi – insieme a quella delle religiose e dei religiosi – si sono unite a quelle di tante associazioni di genitori per rappresentare la forte preoccupazione circa la stessa tenuta del sistema delle paritarie. Se già ieri erano in difficoltà sul piano della sostenibilità economica, oggi – con le famiglie che hanno smesso di pagare le rette a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all’emergenza sanitaria – rischiano di non aver più la forza di riaprire».
«Allo Stato – afferma ancora Maffeis – non si chiedono privilegi né elemosina, ma di riconoscere il servizio pubblico che queste realtà assicurano. Intervenire oggi è l’ultima campanella. Se questa suonasse senza esito, diverrà un puro esercizio accademico fermarsi a discutere circa il patrimonio assicurato al Paese da un sistema scolastico integrato».
«Siamo ormai entrati nella “Fase 2”, il momento della ripartenza. – fa notare il direttore dell’Ufficio di Pastorale Scolastica della nostra diocesi don Luca Ghiacci – Ci siamo entrati fra mille ansie e un’irrefrenabile voglia di ricominciare. Solo la scuola sembra ferma, saldamente abbarbicata al più severo lockdown. Sembra che la scuola non riparta. Sembra, ma non è così! La scuola, semplicemente, non ha mai smesso di funzionare! Sì, certamente, cambiata, digitalizzata, computerizzata, ma viva! A volte anche bastonata: penso ad esempio alle scuole private che già in difficoltà per la sostenibilità economica rischiano ora di non avere più forze per continuare; c’è da sperare che il Ministero dell’Istruzione insieme a tutto il Governo intervengano per scongiurare una simile disgrazia; il nostro sistema scolastico, senza gli istituti privati, e diciamolo, senza la scuola cattolica, è irrimediabilmente mutilo!».
«La scuola non ha mai chiuso le porte – conclude don Ghiacci – si è fatta umile compagna dei nostri ragazzi, è entrata nelle loro camerette, ha infuso coraggio anche forse fingendo una normalità in giorni che normali certo non sono. Lo ha fatto grazie alla forza e al senso del dovere del personale, di tanti insegnanti – so per certo che gli insegnanti di Religione hanno saputo dare forza e speranza –, degli studenti».
Concetti e richieste che sono state riprese da molte associazioni che rappresentano il “mondo paritario” italiano.
La Fidae, la Federazione italiana delle attività educative scuole cattoliche, ha chiesto l’istituzione di un «fondo straordinario per garantire gli stipendi ai docenti e per venire incontro alle famiglie garantendo la piena detraibilità delle rette pagate dalle famiglie stesse durante l’emergenza».
La sezione ligure della Fidae lancia l’ulteriore proposta dell’erogazione di «un sostegno di 100 euro mensili ad alunno per i quattro mesi scoperti di questo anno scolastico».
«Attraverso il nostro settimanale – aggiunge la presidente dell’Istituto diocesano “Santachiara” Pinuccia Rossi – voglio diffondere i contenuti della campagna “Io ci sto” lanciata dall’AGeSC, l’Associazione Genitori Scuole Cattoliche, per chiedere al Governo di intervenire in particolare sulla detraibilità integrale delle rette pagate dalle famiglie per la frequenza scolastica e per i servizi educativi nelle scuole paritarie nel corso del 2020, sull’istituzione di un fondo straordinario adeguatamente finanziato per la erogazione di contributi aggiuntivi alle scuole paritarie per l’anno scolastico 2019/2020, a tutela dei propri dipendenti e del servizio svolto alle famiglie in aggiunta ai 500 milioni già insufficienti e sull’azzeramento delle imposte (Ires, Irap) e i tributi locali nel 2020, per tutte le realtà educative e scolastiche no- profit».
Le scuole paritarie appartengono al sistema nazionale d’istruzione e svolgono un servizio pubblico al pari delle scuole statali: rappresentano un patrimonio educativo e culturale che va a beneficio dell’intera società. È la legge sulla parità scolastica, varata nel 2000, a sancire tutto questo. Le Paritarie non sono scuole di serie B.
«La legge Berlinguer del 2000 – conclude la Rossi – stabilisce la parità tra scuole statali e paritarie, ma rimane vaga sul tema della libertà della scelta. L’Europa ha più volte richiesto al nostro Paese di concedere una effettiva libertà di apprendere e di scegliere. A livello europeo gli unici Paesi carenti in questo senso sono il nostro e la Grecia».
Sarebbe quindi ora di superare le ataviche contrapposizioni tra scuola statale e paritaria, perché se affermiamo che al centro sta la persona, e in particolare la persona che si apre al futuro suo e del Paese attraverso un’istruzione libera, è evidente che si debba far in modo che quel diritto venga garantito.
Temi di stringente attualità anche e soprattutto in questi mesi segnati dalla presenza in mezzo a noi del Coronavirus.Se non si interverrà presto, saremo costretti
ad annunciare altre sue vittime: le scuole paritarie e la libertà di accesso
all’istruzione.
Marco Rezzani