Anche voi dimenticate i nomi?
di Patrizia Ferrando
I vuoti di memoria capitano a tutti, ma non sono amici delle buone maniere. Dimostrare gentilezza, non mi stanco di ripeterlo, significa prestare attenzione al nostro prossimo.
Che attenzione può trasparire, dove c’è o subentra la dimenticanza, anche se in maniera incolpevole? Cerchiamo dunque di focalizzare i ricordi e, nel frattempo, esaminiamo qualche trucco.
Uno dei momenti paradossalmente più complicati per un buon esercizio di “attenzione memore”, è il primo incontro con una persona del tutto sconosciuta. Rischia di crearsi quasi un cortocircuito fra buone norme: correttezza impone di dire subito i rispettivi nomi e, al tempo stesso, la concentrazione viene distolta dal presentarsi. Tutto ciò cozza con la gentilezza profusa da chi ricorda bene i nomi stessi. Che fare, dunque? Se proprio non abbiamo capito come si chiama il nostro interlocutore, meglio chiedere subito con delicatezza. Più tempo passa, più la faccenda rischia di diventare imbarazzante.
Se abbiamo colto un nome in maniera incerta e frammentaria, l’idea è inserire una domanda di conferma nella conversazione.
Ad esempio, a una frase diretta a una ragazza che abbiamo inteso chiamarsi “… isa”, seguirà l’interrogativo: «Lisa, giusto?».
Quando invece abbiamo capito, però temiamo che ogni informazione si cancelli, sforziamoci di ripetere il nome del nuovo venuto, conversando. Aiuta a memorizzare e garantisce anche uno stile piuttosto empatico.
Nel frattempo, conviene cercare associazioni mentali per “fissare” le informazioni, schivando la trappola delle assonanze. Capita sempre che qualcuno si chiami in modo simile a un altro… e capita sempre di invertire i collegamenti basati su similitudine e appellare uno o entrambi con uscite erronee. In ambito professionale a togliere d’impaccio gli smemorati bastano i biglietti da visita o l’opportunità di appuntare i nomi.
Passiamo a una apoteosi delle empasse. Incontriamo qualcuno la cui identità consideriamo ignota, che, tuttavia, si comporta come ci conoscesse. Le vie percorribili sono poche: o cogliamo un minimo indizio su dove ci saremmo già visti, diciamo qualcosa di gradevole su quel luogo e chiediamo allo “sconosciuto conosciuto” di aiutarci o ammettiamo soavemente di non ricordare, scusandoci o, ancora, sorridiamo e sviamo il discorso con una battuta sulla nostra scarsa capacità di archiviare nomi e volti. Se, invece, le parti sono rovesciate, e siamo noi a rammentare per filo e per segno chi sembra ignaro, non impuntiamoci nel volerci far riconoscere. Molto meglio iniziare di nuovo da zero che irrigidirsi in insistenze controproducenti.
patrizia.marta.ferrando@gmail.com