Avete voluto la bicicletta?

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Dipende dalla g. Stavolta, però, posso scriverla sia minuscola sia maiuscola. Qui siamo tutti in Giro per due motivi: il primo è che, grazie ai vaccini, stiamo lentamente tornando alla normalità e allora iniziamo a uscire di casa con più frequenza per sentire sulla pelle l’aria fresca e per farci abbagliare dal sole. Il secondo è che tra una settimana il Giro d’Italia passerà in Oltrepò: il 27 maggio la 18^ Tappa arriverà a Stradella e toccherà alcuni dei paesi più belli di collina: Zenevredo, Montù Beccaria, Montescano, Castana, Cigognola, scenderà a Broni e poi ancora su fino a Canneto Pavese. In giro (e ridaje) c’è aria di festa: c’è voglia di assegnare a questo evento sportivo un significato simbolico, primaverile, di rinascita e ripartenza dopo i mesi più bui del lockdown. Il nostro giornale “ha indossato” la maglia rosa. Vuole essere il primo a partecipare a un appuntamento che coinvolge la sua gente e che lancia un messaggio di speranza per il futuro: custodiamo e facciamo conoscere la bellezza di una terra in cui abbiamo solide radici.

Il Popolo, del resto, vanta una lunghissima tradizione in fatto di cronache ciclistiche. Quantomeno siamo stati i primi in Italia a parlare di Fausto Coppi (era il 22 febbraio 1940) e a seguire le sue memorabili imprese. Quando ancora nessun commentatore sportivo credeva nell’Airone, i nostri cronisti iniziarono a raccontare i suoi successi. L’appellativo di “Campionissimo”, il soprannome che ormai, in ogni parte del mondo, è diventato sinonimo di “Coppi”, l’ha inventato Il Popolo sul n° 22 del 30 maggio 1940. E lui, il Fausto, veniva spesso in Oltrepò ad allenarsi lungo salite e discese che tagliavano in due le vigne. Il rumore del vento tra i filari si confondeva con quello dei raggi della bicicletta: velocità e coraggio, fatica e soddisfazione. Non sono forse gli elementi che connotano la quotidianità?

Vogliamo guarire in fretta da un virus subdolo, sollevarci «dai dolori e dagli sbalzi d’umore», spingere sul pedale finché non sentiamo i muscoli bruciare e giungere in vetta spossati ma euforici. Eh sì, abbiamo proprio voluto la bicicletta e adesso nulla ci può fermare. Ma attenzione a non prendere sotto gamba un avversario come la pandemia. Lenta e inesorabile come un ghiro. «Il ghiro, miei cari, è una bestia senza fretta: non va nemmeno in triciclo, figuriamoci in bicicletta»: ha scritto Gianni Rodari che non perdeva occasione di parlare ai bambini della bellezza di uno sport come il ciclismo. Ci sentiamo campioni o gregari? Torniamo piccoli, appunto. Quel che conta è andare, in sicurezza, ma andare. Il traguardo è un problema che ci riguarda poco… a meno che non sia stato fissato in piazzale Trieste a Stradella.

Io ho scelto. Per finire ecco un’ode al gregario «corridore proletario, che ai campioni di mestiere deve far da cameriere, e sul piatto, senza gloria, serve loro la vittoria. Al traguardo, quando arriva, non ha applausi, non evviva» (sempre citando Rodari). Ma «col salario che si piglia fa campare la famiglia e da vecchio poi acquista un negozio da ciclista o un baretto, anche più spesso, con la macchina per l’espresso ». State tranquilli. Lo applaudiamo noi quel gregario per la felicità che è riuscito a costruire. Di questi tempi, in fondo, tutti sogniamo una felicità così.

Matteo Colombo

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