Beata Gabriella Sagheddu
La Beata di questa settimana è morta a soli 25 anni, offrendo la sua vita per l’unità dei cristiani. Maria Gabriella Sagheddu, beatificata da San Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983 e ricordata dalla Chiesa il 23 aprile, nacque a Dorgali, in Sardegna, il 17 marzo 1914, quinta di otto figli, in una famiglia di pastori. Maù, come la chiamavano, rivelò un carattere ostinato, critico e ribelle, ma con un forte senso del dovere, della fedeltà e dell’obbedienza.
A diciotto anni, nel 1932, dopo la morte della sorella minore, cambiò completamente: si addolcì e assunse un atteggiamento austero, dolce e riservato. Si iscrisse all’Azione Cattolica e cominciò ad avvertire la necessità di consegnarsi totalmente alla volontà di Dio.
Dopo la partenza di due sue compagne per il monastero trappista di Grottaferrata in provincia di Roma, anche lei, su consiglio del suo confessore, alla fine di settembre del 1935 decise di farsi monaca con il nome di suor Maria Gabriella. Pronunciò la professione religiosa il 31 ottobre 1937, festa di Cristo Re, a Dorgali e lei, quel giorno disse a Gesù: «Io mi offro a Te in unione con il Tuo Sacrificio e, sebbene sia indegna e da nulla, spero fermamente che il divin Padre guardi con occhi di compiacenza la mia piccola offerta, perché io sono unita a Te». E aggiunse: «Ora fa tutto quello che vuoi». La sua badessa, che aveva una grande sensibilità e un forte desiderio ecumenico, sollecitata dal sacerdote francese padre Couturier, presentò alle sorelle la richiesta di preghiere e di offerte per la grande causa dell’unità dei cristiani.
Suor Maria Gabriella si sentì subito coinvolta e spinta a offrire la sua giovane vita.
«Sento che il Signore me lo chiede – confidò alla badessa – mi sento spinta anche quando non voglio pensarci». Poiché la giovane non conosceva affatto il problema storico delle separazioni della Chiesa, né dell’ecumenismo, si è dedotto che questa vocazione a offrirsi vittima per l’unità della Chiesa sia stata un’ispirazione celeste.
A 23 anni, dopo che fino ad allora era stata sanissima e piena di vita, fu colpita dalla tubercolosi che in quindici mesi la condusse al sepolcro che lei chiamava «il mio tesoro».
La sua vita religiosa durò solo tre anni e mezzo. La sera del 23 aprile 1939 si spense, mentre le campane annunciavano la fine dei vespri della domenica del Buon Pastore, in cui il Vangelo proclamava: “Ci sarà un solo ovile e un solo pastore”.
La sua offerta è stata accolta nel cuore di molti credenti di altre confessioni.
Negli anni successivi, le numerose vocazioni nella trappa sono state il dono della Beata alla sua comunità. Il suo corpo, trovato intatto nella ricognizione nel 1957, riposa in una cappella adiacente al monastero di Vitorchiano, nuova sede del monastero.
Daniela Catalano