Beata Panacea
Nel linguaggio comune il termine “panacea” indica la medicina che guarisce tutti i mali, ma nell’agiografia cristiana esiste una beata che si chiama proprio così. La Beata Panacea è festeggiata nella diocesi di Novara il 5 maggio e nel vicariato della Valsesia il primo venerdì dello stesso mese.
Panacea De’ Muzzi fu una fanciulla che morì martire all’età di quindici anni e fu proclamata beata nel 1867. La sua esistenza e il suo martirio sono documentati da antiche testimonianze tramandate nel tempo e persino Silvio Pellico si è interessato a lei. Il culto per la giovane origine della Val Sesia si sviluppò presto e già all’inizio del 1400 furono edificati due oratori in sua memoria: uno sul luogo del martirio e uno in paese dove fu accolta la salma.
Panacea nacque nel 1368 a Quarona, un paese tra Borgosesia e Varallo. Rimase presto orfana della mamma. Suo padre si risposò con una certa Margherita Gabotto vedova e madre di una figlia. Dopo il nuovo matrimonio del padre, Panacea iniziò a subire maltrattamenti dai nuovi parenti, che non vedevano positivamente le sue opere di carità.
Tra la matrigna, la sorellastra e Panacea iniziarono una serie di incomprensioni e divergenze che portarono le prime due a manifestare aperta ostilità nei riguardi della fanciulla. Questa situazione degenerò, secondo la tradizione, in una sera di primavera del 1383, quando la matrigna, non vedendo rincasare Panacea andò a cercarla di persona. Si recò sul monte Tucri che sovrasta l’abitato e, poco oltre la chiesa di San Giovanni, trovò Panacea in preghiera. Adirata la rimproverò e in un eccessivo scatto d’ira, forse senza volerlo, la percosse violentemente uccidendola; accortasi dell’accaduto la donna si gettò da un burrone in preda alla disperazione. Attratti dal suono spontaneo e prolungato delle campane, accorsero il papà e gli abitanti di Quarona con il parroco e non riuscirono a sollevare da terra il corpo di Panacea. Il parroco informò il vescovo di Novara, che giunse accompagnato dal clero che constatò il fatto miracoloso e in nome di Dio comandò al corpo di Panacea di lasciarsi sollevare e così avvenne.
Fu poi portato a valle su un carro trainato da due giovani vitelle verso un campo di proprietà di Lorenzo Giuliani, parente di Panacea, che però si oppose alla sepoltura nel suo terreno.
Le vitelle ripresero il viaggio, seguite dal vescovo e da molta gente e una volta giunte a Ghemme si fermarono al cimitero, adiacente alla chiesa parrocchiale, dove fu sepolta insieme alla sua mamma.
Daniela Catalano