Beato Luigi Maria Monti

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Luigi Maria Monti, il Beato di questa settimana, è “un apostolo della carità, che l’ardente amore per la Vergine Immacolata condusse a servire in modo eroico Cristo nei giovani, nei poveri e nei sofferenti”. Così lo definì San Giovanni Paolo II il giorno in cui lo beatificò il 9 novembre 2003 e ne fissò la memoria liturgica al 1° ottobre.

Monti nacque a Bovisio Masciago, nella diocesi di Milano, il 24 luglio 1825, ottavo di undici figli. Rimasto orfano di padre a 12 anni, divenne artigiano del legno per aiutare la madre e i fratelli più piccoli. In gioventù decise di consacrarsi a Dio, e cominciò a radunare attorno a sé alcuni coetanei rea- lizzando nella sua bottega di falegname un oratorio serale chiamato “La Compagnia dei Frati”. Luigi lavorò da apprendista falegname a Cesano Maderno dove incontrò don Luigi Dossi, che divenne sua guida per un lungo tempo della sua vita. La Compagnia fu denunciata alle autorità austriache, con calunnie di cospirazione politica e lui con quindici suoi compagni furono incarcerati per 72 giorni a Desio.

Prosciolti per infondatezza dell’accusa, Monti si impegnò ancor di più, come laico consacrato, a dedicare il suo tempo alla gioventù. Nel 1851 entrò nella Congregazione dei Figli di Maria, fondata da Ludovico Pavoni per educare la gioventù bisognosa; si dedicò anche allo studio della piccola chirurgia e della farmacia e nel 1855 si mise a servizio dei malati di colera come infermiere volontario nel lazzaretto di Brescia.

Don Dossi gli prospettò l’idea di dar vita ad una congregazione per il servizio degli infermi a Roma. Luigi Monti accettò e suggerì di chiamarla Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione e nel 1857 si recò a Roma, nell’ospedale Santo Spirito, per fondarla e rivolgerla all’assistenza ospedaliera e all’educazione di ragazzi bisognosi. Questa si diffuse prima in Roma e poi nell’alto Lazio. Nel frattempo lui non smise di studiare e ottenne dall’Università di Roma il titolo accademico di flebotomo, con facoltà di interventi anche in campo odontoiatrico.

Nell’ospedale civile di Orte operò per circa dieci anni lasciando una testimonianza di donazione di sé e di alta professionalità. Nel 1886 tornò a Saronno dove sviluppò la sua vocazione giovanile di educatore. La Casa di Saronno divenne un laboratorio educativo, nel quale ogni ragazzo poteva crescere e sviluppare le proprie capacità. L’orfano doveva trovare nella comunità dei religiosi la nuova famiglia. Concepì la comunità come formata da “Fratelli” sacerdoti e non nella parità dei diritti e dei doveri. Morì quasi cieco a 75 anni il 1° ottobre 1900. San Pio X, nel 1904, diede l’approvazione al nuovo modello di comunità, concedendo il sacerdozio ministeriale come complemento essenziale per svolgere la missione apostolica.

A Saronno sono conservate le sue spoglie mortali, nell’istituto che porta il suo nome.

Daniela Catalano

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