Beatrice Casasco argento mondiale di kick boxing
Orgoglio di casa nostra. L’atleta di Viguzzolo è stata campionessa italiana nei -70 kg
VIGUZZOLO – La viguzzolese Beatrice Casasco, 17 anni, in forza alla “Kick Boxing Tortona” del maestro Mario Rachiele, è stata protagonista ai recenti campionati mondiali. A metà maggio è stata proclamata per l’ennesima volta campionessa italiana assoluta della Fik-bms, Federazione riconosciuta dal Coni, a Rimini, questa volta nella categoria -70 kg, specialità kick light. Beatrice, per la quarta volta nella sua giovane carriera, è stata così selezionata per indossare la tanto ambita maglia azzurra. L’Italia nella città di Jesolo, dal 16 al 22 di settembre, ospita i campionati mondiali che vedono ben 65 nazioni e 2.319 iscritti.
La Casasco, rinunciando alle vacanze e a quella che è la vita estiva di un giovane, si allena quotidianamente, dovendosi alternare con gli studi del liceo linguistico “Galilei” a Voghera. Il giorno tanto atteso arriva, in categoria con Casasco ci sono altre 6 leonesse, è il secondo il turno di Beatrice, di fronte a lei una fortissima americana, Dani Auberger, ma a metà del secondo round l’italiana smorza le ambizioni statunitensi perché l’arbitro interrompe il match per “cappotto”. Il giorno 21 si prosegue, è il turno di battere l’Ungheria, nazione leader in questa disciplina.
Già dall’inizio dell’incontro si denota un livello molto superiore dell’avversaria ma Beatrice si gestisce bene e con strategia e anche per l’ungherese Halasz Eniko la musica non cambia: “cappotto” alla metà del secondo round. È finale per l’italiana. Giorno 22, di fronte all’angolo blu c’è la Polonia, rappresentata da Paulina Stenka, l’arbitro dà il fight, i primi due round sono equilibrati, non si delinea una preferenza netta per nessuno delle due, all’inizio del terzo e ultimo round sembra di assistere davvero ad uno scontro fra due tigri, sugli spalti è tutto un tricolore e un coro unico. Si sente: “Forza Italia, Forza Bea”, ma la polacca rivela di avere qualche cosa in più verso la fine e l’italiana non riesce a recuperare il vantaggio perso. L’arbitro alza al cielo il braccio della Stenka. La Casasco dichiara con qualche lacrima agli occhi e un po’ di amarezza: “Nessun rimpianto è stata dato tutto e anche oltre, si è in due sul tatami e uno vince, l’altro no, l’essere stata rincuorata dai tecnici federali mi ha fatto stare meglio perché non è stato perso un oro ma è stato vinto un argento meritatissimo”.
Prossimo impegno di Beatrice il 20 ottobre a Viguzzolo al galà Shogun fight night, dove incontrerà una fortissima Francesca Oliverio.
Conosciamo meglio questo sport
La kick boxing è nata in Giappone negli anni Sessanta. In quel periodo le uniche forme di combattimento a contatto pieno erano il full contact karate, il muay thai thailandese, il sambo russo, il taekwondo coreano, il karate contact e il sanda cinese. I giapponesi iniziarono a organizzare gare di karate a contatto pieno (karate full contact). Questo genere di combattimenti stava acquisendo interesse sempre maggiore finché negli anni ’70 alcuni maestri di arti marziali provarono a sperimentare una nuova formula unendo le tecniche di pugno del pugilato alle tecniche di calcio del karate e nacque così il full contact karate. Tuttavia vi fu una certa confusione dei nomi e degli stili, anche in virtù del fatto che nel full contact karate si colpisce con i calci, dal busto in su, mentre nella kick boxing giapponese si potevano dare calci anche alle gambe. A cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta con il termine kick boxing spopolò negli Stati Uniti una forma di full contact karate dove gli atleti vestivano dei lunghi e larghi pantaloni e delle apposite scarpe, ed inizialmente era vietato colpire con calci portati sotto la cintura; tra i più importanti enti ed organizzazioni vi erano WKA ed ISKA.
In seguito, sempre in Giappone, nel 1993, venne organizzato un torneo chiamato K-1, in cui “K” sta per karate, kempo e kick boxing. In questo torneo le regole sono quelle della kick bo-xing, ma sono valide anche le ginocchiate senza presa e i pugni saltati e girati. Lo scopo era mettere sullo stesso ring atleti di diverse arti marziali e sport da combattimento e avere un regolamento sportivo che permettesse loro di confrontarsi. Visti i capitali elevatissimi e l’entusiasmo enorme dei giapponesi, in questi avvenimenti, il K-1 (diviso in due tornei: il K-1 World Grand Prix, riservato ai pesi massimi e il K-1 MAX, riservato alla categoria dei pesi medi) divenne il più importante torneo al mondo. Il termine “K-1” ha assunto attualmente l’accezione di uno sport da combattimento a parte, benché vi partecipano atleti provenienti dal muay thai, dalla kick boxing o da altri sport simili; il regolamento del torneo è chiamato K-1 Style.
Franco Scabrosetti