Come pesci nella nebbia

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Di Arianna Ferrari e Andrea Rovati

LEI

Devo ammettere che sull’Oltrepò sono acritica perciò nessuno me lo tocchi perché per me lì tutto è bello (tranne le buche) e io ci sto così bene che lo trovo affascinante sempre. Per chi invece sta di qua dal Po il discorso cambia. Sarà che siamo a novembre ma, complice la mia fallace memoria, non ricordo negli ultimi anni così tanti giorni consecutivi di nebbia. Qui è già grigio topo e piatto di suo ma quest’anno è funereo. Nel pomeriggio quando esco dal lavoro vedo la luce e un timido sole sufficienti a scatenare in me una sorta di istinto pavloviano verso le colline. Ma poi mi freno pensando al mattino successivo quando dovrò patire almeno un’ora nella nebbia cercando di non schiantarmi percorrendo strade senza segnaletica orizzontale. Detesto guidare in condizioni di scarsa visibilità e la nebbia forse è quella che meno sopporto. Problema mio… pare. Quando chiedo ad Andrea, derubrica la cosa cambiandole pure nome e la chiama “foschia”. Ma certo, come no?! Se avesse anche lui un’auto vecchia, bassa, in cui la seduta è a livello dell’asfalto e per vederci devi usare anabbaglianti, fendinebbia e talvolta abbaglianti, forse userebbe termini appropriati. Se dico che c’è nebbia, c’è nebbia, così come è vero che a una donna non piace essere contraddetta. Poeticamente anche lei ha un suo fascino; rende tutto ovattato, diafano, indistinto e ti fa venire voglia di camino, zucca e castagne. Ammaliante finché non sbagli strada. Per cui se lei sta fuori io preferisco stare dentro a casa a cucinare.

arifer.77@libero.it

LUI

È domenica pomeriggio e guido senza fretta. Una foschia grigia e indistinta avvolge tutto, si vede solo il nastro d’asfalto, mi accorgo a mala pena di aver percorso il ponte sul Po scomparso sotto di me e pigramente mi appaiono davanti dei grandi pesci di metallo sospesi a mezz’aria. Conosco questa strada come le mie tasche: che cosa sta succedendo? No, non sto sognando né sono capitato in uno dei mondi immaginari di Escher: sono a Spessa, dove una rotonda è decorata con sculture un po’ oniriche anche col bel tempo, figuriamoci oggi. Proprio così: per anni l’avevamo vista poco ma in questa stagione la nebbia è tornata. Di certo non è una novità; io ci sono nato nella nebbia e non lo dico in senso astratto: sono nato a novembre e quindi immagino che nei miei primi giorni di vita abbia “galleggiato” in questo elemento. Un tempo ce n’era di più. Chi ha una certa età ricorda ancora quando sul finire degli anni ’70 a Portobello un bizzarro personaggio propose all’incredulo Enzo Tortora di spianare il Turchino per consentire alle correnti di spazzare via la nebbia dalla Val Padana. E poi, sebbene non invitata, la nebbia mi ha accompagnato nel corso della vita, ha assistito a tanti miei compleanni (forse tutti) e non dimentico che è ingrediente essenziale di salumi stagionati e caldarroste. Certo che non mi piace la nebbia e la temo, però la rispetto e, magari anche per queste mie convinzioni (o fantasie o illusioni, fate voi), non la trovo così estranea e la sento parte di me.

andrea.rovati.broni@gmail.com

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