«Com’è umano lei»
Il povero ragionier Ugo Fantozzi, nel “lei” con cui si rivolgeva al megadirettore, riassumeva intere costellazioni fatte di deferenza distorta, imbarazzo, assuefazione al disagio.
Ma a tutti noi, o quasi, è accaduto di esitare nel rivolgerci a qualcuno, o nel sentirci appellare con il “tu” o con il “lei”.
La più formale soluzione del “lei” ha un grande vantaggio di partenza: da essa si può sempre passare al “tu”, mentre non è proponibile il percorso inverso.
Partiamo, però, da un breve iter storico.
Nell’antica Roma tutti davano del tu a tutti, a prescindere da ruoli e classi sociali.
Tale abitudine perdurò fino ai tempi di Diocleziano, quando, insieme alla tetrarchia, si instaurò una sorta di senso plurale del prestigio: all’epoca compare il “voi”.
Il “lei” è tendenza del sedicesimo secolo, che trova progressiva affermazione in italiano arrivando dalla Spagna. Sarà solo negli anni del fascismo che verrà fortemente promosso l’uso del “voi”, considerato patriottico e romano, in opposizione a un “lei” esterofilo, nella stessa ottica che cancella e sostituisce numerosi vocaboli di origine straniera. Dagli anni ’50 il “voi” andrà scomparendo, per sopravvivere solo in alcuni ambiti regionali. Giungendo ai giorni nostri, come regolarsi?
Con colleghi e superiori, spesso basta osservare le abitudini consolidate. In alcuni uffici la gerarchia è rigida, in altri suonerebbe quasi offensivo non utilizzare l’appellativo me-no formale.
A clienti, professionisti, esercenti e commessi, camerieri che non siano proprio gli adolescenti della sagra della frittella, sempre meglio riservare il “lei” che, oltre a testimoniare considerazione, mantiene una giusta dose di distanza per consentire anche qualche scambio non gradevolissimo, ma in alveo quasi asettico.
Se, però, entriamo in un negozio dal tono easy, e la commessa ci saluta con un entusiastico «Ciao, come posso aiutarti?», non ghiacciamola come se si fosse macchiata del reato di lesa maestà.
Il “lei” è sempre dovuto a qualsiasi persona anziana, a professori e sacerdoti giovani o meno, a chi ricopre una carica amministrativa e a un pubblico ufficiale, a coloro coi quali non c’è confidenza.
Da quella stessa persona, cui manifestiamo rispetto, arriverà, eventualmente, l’invito: «Diamoci del tu».
Invito che non va sollecitato, ma che, quan-do arriva, è da accogliere con disinvolta gratitudine e senza comiche moine del tipo «non ci riesco», o, ancor peggio, «…mai oserei!».
patrizia.marta.ferrando@gmail.com