Con voi sono stato bene
Di Davide Bianchi
Quando mesi fa l’amico Marco Rezzani e il direttore Matteo Colombo mi proposero di scrivere per questo giornale una rubrica sulla scuola, accettai apparentemente senza riserve; mentendo clamorosamente a entrambi. Scrivo infatti “apparentemente” perché in realtà nutrivo alcune perplessità circa il fatto di dover redigere settimanalmente un testo che riguardasse la mia vita lavorativa. Il mio intimo privato scetticismo su questo progetto, ben celato ai miei interlocutori, si dipanava attraverso un ventaglio di esitazioni e titubanze. Per esempio, il non sentirmi sufficientemente adeguato a svolgere tale compito, le possibili difficoltà nell’individuare e inquadrare i vari temi, il timore di risultare banale o ancor peggio patetico, la questione concernente la cifra stilistica per un determinato tipo di scrittura e, infine, ma non per ultimo, come descrivere e parlare delle persone che costituiscono la sorprendente galassia umana con la quale ho l’onore e il privilegio di avere a che fare. Quello che ora mi sento di dire, cari lettori, a distanza di un anno e in conclusione di questa esperienza, è che l’impegno settimanale con voi, ma soprattutto con me stesso, abbia preso quasi da subito le sembianze di un percorso interiore, di un processo di decodifica di vissuti che sarebbero altrimenti rimasti su uno sfondo inespresso, afasico. Un lavoro di lettura introspettiva, di analisi ed elaborazione di alcune dinamiche, anche di natura psicologico-affettiva e relazionale, che forse non sarebbero mai emerse così chiaramente se non fossi stato costretto a estrinsecarle, a trasferirle nero su bianco. Non parlerei di catarsi scomodando Aristotele, ma sicuramente la scrittura quando è destinata a sviscerare latenze e profondità irriflesse, a indagare sin dentro le pieghe dei propri trascorsi e delle proprie emozioni, aiuta parecchio, e ti consente di razionalizzare, di vedere e rivedere le cose secondo una luce più chiara e in un contesto più disteso, meno irrequieto. E, forse, il fatto stesso di aver proiettato esperienze ed emozioni attraverso il prisma della parola scritta che, oltre a essere fruibile agli altri, a differenza di quella orale, resta, rimane, ha dato luogo a una cura e una sensibilità maggiore nella ricerca dei vocaboli e dei temi. È stato terapeutico scrivere per voi e raccontare un lavoro fatto di tempi lunghi, di attese, di aspettative, di volti, di sguardi, di cadute, di soddisfazioni, ma soprattutto fatto di persone, i miei alunni, passati e presenti, senza i quali questa rubrica non sarebbe mai esistita.
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