Corvino San Quirico ricorda don Felice Ciparelli
Parroco in paese dal 1898, il 24 novembre 1944 fu assassinato in chiesa. Domenica alle ore 16 la Santa Messa in parrocchia in memoria della sua barbara uccisione
DI GIOVANNA BRUNI E DON PATRIZIO DANDER
«Austero, riservato, severo… ma di una carità immensa!». Questi i tratti di don Felice Ciparelli impressi nei ricordi dei suoi parrocchiani a Corvino San Quirico. La carità fu, infatti, la costante di tutta la sua vita e lo accompagnò fino alla fine, suscitando in lui, colpito a morte, l’invocazione della divina Misericordia anche per i suoi uccisori. «Gesù mio, misericordia!»: le ultime parole che coronarono tutta la sua esistenza. Nato a Paderna, vicino a Tortona, il 5 aprile 1870, da una famiglia di agricoltori, dopo l’ordinazione sacerdotale, don Ciparelli trascorse cinque anni come cappellano all’ospedale civile di Tortona e nel 1898 fu nominato parroco di Corvino San Quirico, dove rimase per ben 46 anni. Unitamente al cugino don Carlo Sterpi, successore di don Luigi Orione, che lo chiamava amabilmente “il prevostino”, fu sostenitore del progetto di edificazione del santuario della Madonna di Caravaggio di Fumo, promosso dal canonico Arturo Perduca.
Mons. Luigi Quaglini più volte ne ricordò i tratti: “Non alto di statura, piuttosto magro, teneva solitamente il capo leggermente inclinato in avanti. Nell’incedere e nel conversare aveva gli occhi abbassati. Ma quando li alzava per fissarti, essi ti penetravano, ti parlavano. La sua figura morale invece era ben alta! E non è facile tratteggiarla. A volte il buon Prevosto dava l’impressione di esagerata scrupolosità, di eccessiva riservatezza o di irritabilità verso quanti incontrava. In realtà, sotto l’apparente ruvida scorza si celavano una finezza e una sensibilità non comuni, un cuore sorprendentemente pieno di carità, un animo rivestito di umiltà disarmante”. (Don Luigi Quaglini, Don Felice Ciparelli, in Preti di casa nostra, 2010, p. 36, a cura della redazione de Il Popolo).
«Era povero, poverissimo, perché dava tutto agli altri» – ricorda Carlo Quaglini, oggi novantunenne, che lo ebbe come catechista. Fu uomo di grande generosità verso tutti coloro che erano nel bisogno. Aiutava le famiglie di Corvino in vari modi: finanziariamente, con generi alimentari o addirittura pagando loro le tasse. Pochi giorni prima della sua tragica fine, arrivò persino a far tagliare le piante del beneficio parrocchiale per dare legna ai più bisognosi. La morte di don Ciparelli si inserisce nelle prime fasi del feroce rastrellamento avviato dai nazi-fascisti, a partire dal 23 novembre 1944, sulle colline dell’Oltrepò pavese, con l’intento di scovare renitenti alla leva e simpatizzanti dei partigiani. Tra le organizzazioni poliziesche che operavano nella zona, la Sicherheits Abtelung (Reparto per la Sicurezza), una formazione autonoma della Repubblica Sociale Italiana, costituita da fascisti alle dirette dipendenze del Comando Tedesco nel Nord Italia, era una delle più spietate: al suo arrivo venivano perpetrate violenze, torture, saccheggi e le più orribili atrocità. La mattina del 24 novembre fu proprio una squadra di 15 uomini della Sicherheits Abtelung, tra i quali dei soldati tedeschi, a salire a Corvino San Quirico.
Ricostruiamo qui la dinamica dei fatti di quel tragico giorno, con l’aiuto di Marco Raina che ricorda le parole del padre Carlo, all’epoca diciottenne, e con le informazioni fornite da Fabio Bruni, appassionato di storia locale. Il giovane Celeste Ascagni, nell’ora del mezzogiorno, si trovava davanti alla chiesa parrocchiale, appoggiato al muretto di recinzione e, d’istinto, vedendo spuntare dal fondo della strada due pattuglie di miliziani, corse a rifugiarsi in chiesa.
Don Ciparelli lo fece scappare dalla porta laterale, verso il bosco, e suonò con un certo anticipo le campane dell’Angelus. Ciò fu interpretato dai nazifascisti come un segnale di allarme per i renitenti alla leva. I soldati, dunque, salirono subito la scala della chiesa e, trovando chiuso il portone, spararono alla serratura. Ventinove furono i colpi sparati contro il portone. Alcuni di questi colpirono don Ciparelli che cadde a terra a metà del corridoio centrale tra le due file di banchi. Dalla sacrestia accorse sua nipote Felicina, che lo sentì mormorare: «Gesù mio, misericordia». Nel frattempo, l’altro gruppo di miliziani sfondò, con una bomba a mano, l’ingresso laterale che immetteva, attraverso un corridoio, nel presbiterio e, in preda a una furia bestiale, finirono don Ciparelli, sparandogli al capo e al torace. Ancora oggi sono visibili i segni delle pallottole che rimbalzarono e andarono a colpire una colonnina dell’altare maggiore e l’affresco del Morgari nell’abside, raffigurante il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. I parrocchiani rimasero oltremodo scossi dalla barbara uccisione del pastore umile e zelante che fu accanto a loro per quarantasei anni. Ancora oggi tanti corvinesi rievocano i racconti di nonni e genitori che mai dimenticarono quell’atroce delitto.
L’arciprete di Santa Giuletta, don Alessandro Ghezzi, vicario foraneo, il giorno successivo, 25 novembre, fu a Corvino a “riconciliare la chiesa” nella quale era avvenuto il delitto-sacrilegio, secondo il Rito previsto dal Rituale Romanum e dal Codex Iuris Canonici.
Il giorno 27 novembre celebrò le solenni esequie che videro una larga e commossa partecipazione di fedeli: «Compianto da tutto il suo popolo ch’egli guidò per ben 46 anni! Compianto al di fuori da chi era conosciuto perché fu veramente e sempre in ogni circostanza il Bonus Pastor qui dat animam suam pro ovibus suis! Requiescat!». Il corpo di don Ciparelli fu dapprima sepolto nel cimitero di Corvino, nella cappella della famiglia Ravazzoli, trent’anni dopo fu trasferito nella tomba di famiglia al suo paese di origine a Paderna.
Nel suo testamento spirituale del 1942, don Ciparelli scrisse: “Raccomando l’anima mia al benignissimo Iddio che mi ha creato, al Sommo Sacerdote Gesù, che non ha sdegnato d’avermi Suo ministro, accettando la morte dalle Sue mani nel tempo e nel modo che Egli nei suoi imperscrutabili disegni sia disposto, implorando che avvenga all’ombra del manto di Maria SS. e sotto le ali dell’Arcangelo S. Michele e il patrocinio di S. Giuseppe. Ringrazio i miei parrocchiani di Corvino S. Quirico della loro benevolenza e indulgenza e docilità verso di me nei più di 40 anni che fui con loro, li prego a ricordarsi dell’anima mia e a vivere da buoni seguaci di Gesù Cristo per arrivare un giorno tutti in Paradiso”.
A un anno di distanza dalla morte di don Ciparelli, nel 1945, nella piazza antistante la chiesa parrocchiale, alla presenza del vescovo Egisto Domenico Melchiori, fu inaugurato un cippo artistico con un medaglione. Nello stesso anno alcuni fedeli di Corvino San Quirico, la nipote, il vescovo e il canonico Perduca versarono l’ammontare di £ 12.300 per istituire una borsa di studio per un seminarista povero, con priorità per gli appartenenti alle parrocchie di Corvino e di Paderna, in memoria del parroco. (Cfr. Rivista Diocesana, XXXI Aprile 1945, pp. 40-41 e 51). L’arcivescovo di Tortona Egisto Domenico Melchiori, con una lettera indirizzata alla comunità parrocchiale di Corvino, nel 1954 così ricordò il decimo anniversario della morte di don Ciparelli: “Mentre il tempo allontana da noi una storia che fu piena di sangue e di sgomento, non si affievolisce il ricordo di una delle vittime più pure che la nostra diocesi offrì al Cielo in quei giorni: il compianto don Felice Ciparelli.
La tragica scomparsa di questo sacerdote candido e piissimo non riesce ad avere spiegazioni se non nella luce soprannaturale di una Redenzione compiuta da Cristo e che continua nel mondo, se il sacrificio dei buoni ne prepara la via. Resterà perenne nel cuore di Corvino e della Diocesi l’immagine di questo Parroco che cade, stroncato dall’odio, nella sua chiesa, mentre al suono dell’Angelus benedice la vita, il lavoro, la gioia e le pene dei suoi figli”.