Cosa cambia dopo la sentenza della Consulta sul suicidio assistito

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La Corte costituzionale il 25 settembre si è riunita in camera di consiglio per esaminare le questioni sollevate dalla Corte d’assise di Milano sull’articolo 580 del Codice penale riguardanti la punibilità dell’aiuto al suicidio di chi sia già determinato a togliersi la vita.

In attesa del deposito della sentenza, la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.

E infine… la Corte decise! Una lettura al comunicato ufficiale della Consulta – in attesa della pubblicazione della sentenza – e tutto sembra abbastanza chiaro: pronostici rispettati, indicazioni di principio e di merito orientate ad una prospettiva eutanasica-suicidaria, un ulteriore rimando all’intervento del legislatore. Il tutto condito da importanti incertezze e ambiguità di linguaggio. Una pagina offuscata e triste, dalle conseguenze potenzialmente devastanti – sotto il profilo umano, sociale e culturale – che la Corte Costituzionale ha deciso di aggiungere alla propria opera. Da oggi, la solidarietà con chi soffre, oltre che esprimersi in ogni sforzo di sollievo, cura e assistenza, potrebbe “legittimamente” assumere il distaccato ed estraneo volto di chi dice: “Vuoi davvero farla finita? Ti aiuto io, con professionalità e in nome dello Stato!”. E adesso cosa succede concretamente? In attesa della pubblicazione della sentenza, niente di nuovo rispetto alle norme finora in vigore.

Vedremo se la sentenza stessa fornirà ulteriori elementi utili alla sua implementazione. In ogni caso, sono molte le incognite da sciogliere, per comprendere davvero quali reali effetti “mortiferi” produrrà questa mera decisione giudiziale, conseguente ad una conclamata incapacità politica che ha derogato le proprie responsabilità in merito. Alcune domande, semplicemente elencate: le limitate condizioni cliniche indicate per la non punibilità dell’aiuto al suicidio resteranno tali o si amplieranno, per non discriminare altre tipologie di “sofferenze”? Chi dovrà verificarle?

A chi toccherà attuare le manovre di “assistenza” al suicidio, visto che i medici stanno già manifestando a gran voce il loro dissenso e la loro indisponibilità (a norma di codice deontologico) a tale prassi? Ci si fermerà alla fattispecie del suicidio assistito o si finirà per includere, senza ipocrisie, anche l’eutanasia vera e propria (che con sospetto tempismo, già in queste ore, viene riproposta in nuovi ddl alla Camera)? Saranno previste modalità di esercizio del diritto all’obiezione di coscienza? Tutte le strutture sanitarie accreditate dal SSN saranno obbligate ad assicurare tale possibilità per i propri assistiti?

A questi ed altri interrogativi è ora necessario trovare risposte, una responsabilità che paradossalmente – come in un pingpong impazzito – dalla Consulta ritorna in carico a quella “irresponsabile” classe politica, che finora ha preferito non “sporcarsi le mani” sul controverso tema, probabilmente per banali convenienze elettorali. Quindi? Non resta che sperare che, almeno adesso, le coscienze dei nostri legislatori prevalgano sulle interessate indicazioni partitiche. Se ne riparlerà quanto prima.

Maurizio Calipari

Pontificia Accademia per la Vita in Vaticano

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