Cos’è un castello oggi

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È stato meta di turisti nell’estate del post lockdown. Ma perché il fortilizio di Oramala affascina ancora così tanto chi lo visita? E cosa nasconde, davvero, il suo nome?

Maschio, rude, guerriero splendidamente autentico in val di Nizza nella provincia pavese è risorto dagli anni bui del profondo medioevo il castello di Oramala per testimoniare la sua storia, che è la nostra storia e per certificare con data certa la sua esistenza quantomeno risalente al maggio 1056 oltre che per svelare a distanza di secoli il senso e il vero significato della denominazione di Oramala.

Circa quest’ultima denominazione, subito si rileva che essa porta in sé un equivoco interpretativo in quanto nella composizione della lingua italiana la parola “ora”, avente il significato di misura del tempo, coniugata con l’aggettivo “mala” induce a pensare relativamente alla denominazione del castello a tempi malevoli e infausti. In realtà ben diversi sono il senso e l’originario significato della denominazione in quanto comporta un interessante esempio, concreto e originale, di traslitterazione avvenuta nel passaggio linguistico che partendo dal latino originario giunge alla lingua volgare per confluire definitivamente nella lingua italiana di oggi. Con l’odierno scritto siamo in grado di citare documenti, provenienti da notai dell’epoca, scritti in latino tutti risalenti all’anno mille, comprovanti, con data certa, non solo che il castello era già noto sin dal maggio dell’anno 1056, ma anche il vero significato originario da cui è derivata la denominazione di Oramala.

Ora ci soccorrono nelle indagini molteplici documenti tratti dal raro libro scritto da Arturo Ferretto, edito ad Asti nell’anno 1909 (tipografia Brignolo) titolato Documenti genovesi di Novi e di valle Scrivia riferito al periodo anni 946/1230 che è proprio il tempo di nostro interesse. Infatti il Ferretto al punto XV a pag. 14 riporta in latino il documento risolutivo del problema precisamente datato “maggio 1056” narrante che in tale anno «Alberto del fu Opizzone, marchese, fatto cittadino di Genova alla presenza di Guglielmo di val di Trebbia e di Rustico di Oramala giurava l’osservanza delle consuetudini di Genova (maggio 1056)». Di tale documento, non solo per i cultori e interessati al tema, si riporta il contenuto letterale in latino: «Breue de consuetudine quam fecit dominus albertus marchio filius opiçonis, itemque marchionis, et firmauit per sacramentum per tres bonos homines, quorum nomina in primis obertus filius quondam astulfi et willelmus, de ualle que dicitur tebla et rusticus de auramala…». Il cui senso sommario nella parte di nostro interesse può intendersi «Alberto figlio di Opizzone della casata al contempo marchese firmò l’osservanza delle consuetudini di Genova sotto giuramento di tre uomini d’onore dei quali è nominato in primis il figlio Oberto oltre che Astolfo e Guglielmo della valle denominata Trebbia (“ualle que dicitur tebla”) e di “Rusticus de auramala”» (all’epoca le consuetudini, al pari di statuti ed editti, avevano pieno valore di fonte normativa). Tanto è il rilievo storico di tale attestazione che vi è con assoluta certezza il riferimento del tempo nel quale veniva redatto dal notaio il documento, cioè nel maggio dell’anno 1056. Infatti, alla fine dello scritto è riportata la frase «imperante domino henrico in ytalia anno decimo mensis madii Judicione VIII». Cioè il documento veniva redatto dal notaio dell’epoca allorché era imperatore in Italia il germanico Enrico IV. Famoso per la sottomissione al papa Gregorio VII avvenuta nel 1077 presso il Castello della contessa Matilde di Canossa ove il già presente potentissimo papa toglieva la scomunica all’impaurito imperatore che temeva di aver perso l’anima. Pertanto sul nome e vero significato di Oramala, considerati i termini innanzi espressi, possiamo ora con certezza storica affermare che il castello, posto su un alto poggio, caratterizzato da altissime torri d’avvistamento svettanti in aria (per il controllo di eventuali aggressioni o per il pagamento dei pedaggi) era come tale soggetto all’aria di venti fastidiosi. Quindi “aura” equivale a “vento”, espressione che partendo dal tardo latino e sopravvenendo la lingua volgare (il tempo è proprio quello della nascita sia del castello sia dell’idioma vogare) assumeva la denominazione trasfigurata nella nuova lingua italiana di “Oramala”. Ma il significato vero e originario del termine è quello di superbo castello sottoposto a venti (anche per l’audacia delle sue altissime torri) ad aria fastidiosa (“mala”). Se ciò non bastasse a confortare il reale significato attribuito al nome di Oramala si aggiunge in punto linguistico che se “ora”, parte iniziale di Oramala, avesse avuto in antico il significato temporale di “ora” (adesso) avrebbe dovuto essere preceduto dalla lettera “H” iniziale e quindi con l’aggiunta della lettera “H” formare “Horamala”. Infatti in latino la parola “ora” è scritta e si pronuncia quale “horas”. Lettera “H” iniziale che invece non recita il documento sopra citato né è presente ad oggi in Oramala. Del resto, allorché si praticava normalmente la lingua latina, era lo stesso Virgilio ad usare l’espressione «stat turris in aures», cioè stanno le torri nell’aria, oppure «attollere se in aures» dal significato di alzarsi in aria.

Da quanto sopra si ha la definitiva conclusione che il vero significato da attribuire al nome di Oramala è quello di castello soggetto a venti. L’area sulla quale sorge il castello è tutt’ora soggetta a venti. Chi oggi ritiene la denominazione di Oramala avere un significato originario annesso al tempo incorre in un indebito sviamento del vero significato dell’espressione.

Le notazioni sopra rese senza alcuna pretesa, non si esauriscono ai dati storiografici, ma vogliono avere l’aspettativa di richiamare l’attenzione sui significati che a tutt’oggi offre la presenza del castello di Oramala. Esso non è un’immota costruzione storica, bensì porta con sé fondamentali valori culturali utili alle future generazioni che devono conoscere le radici della nostra travagliata e rissosa storia di lotte e disunioni, nella secolare subalternità alle esterne e interne potenze dominatrici. Anche per questo il castello deve ritenersi attuale testimone di storia e valori che ci portano a conoscere la comune identità nel rispetto della dignità del nostro popolo, dei sacrifici e sofferenze degli avi che ci hanno preceduto che non debbono andare persi, ma devono trovare in noi la serietà e l’orgoglio delle nostre origini in una storia che è unica e straordinaria nell’intero mondo.

Storia che è molto più vicina di quanto non possa credersi nella vitalità tutt’ora presente in noi, nelle nostre capacità di iniziativa, di arte, di continua creatività, di bellezza, di laboriosità come di capacità di sopportare i sacrifici affrontandone le difficoltà.

Luigi Bruciamonti

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