Da Venezia arriva “Non odiare”
Applauditissima all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, l’opera d’esordio di Mauro Mancini, “Non odiare”, è anche coraggiosamente ambiziosa. Affrontare di petto la questione dell’antisemitismo, e in particolare la sua matrice legata a un retaggio nazifascista, significa infatti andare a toccare un nervo scoperto della storia italiana, su cui troppo in fretta è stato fatto calare il sipario. Ma non è l’unico tema di peso su cui si regge il film, pur nella sostanziale essenzialità dell’intreccio. A introdurre tali tematiche, innescando da subito conflitti profondi nei personaggi, sono già le scene d’apertura. Nel prologo un bambino viene messo di fronte al padre, che porta impressi sul braccio i segni della sua permanenza in un campo di concentramento; passano decenni e quel bambino, Simone Segre, è diventato adulto e si trova ad assistere a un incidente stradale. Di professione fa il chirurgo e nel soccorrere prontamente il guidatore rimasto ferito, scopre tatuata sul petto dell’uomo l’atroce sagoma di una svastica. Per il protagonista non si tratta solo di un faccia a faccia con il male, ma di una sofferenza ancora più intima. Ed ecco il coinvolgimento della figlia primogenita del nazista e dei suoi due fratelli, il piccolo Paolo e l’adolescente Marcello. E appunto Marcello (un bravissimo Luca Zunic all’esordio) appare un’altra figura-chiave nell’evoluzione del racconto: giovane rabbioso e violento che frequenta gruppi di naziskin. Ma cosa può spingere un ragazzo del ventunesimo secolo ad abbracciare l’ideologia nazista e a coltivare un odio tanto feroce e “gratuito”? L’eterno interrogativo sulla banalità del male, e soprattutto sulla sua genesi, qui deve, ahimè, fare i conti con una sceneggiatura non sempre convincente, soprattutto in alcuni passaggi narrativi frettolosi o forzati. La carenza di un giusto approfondimento sulle motivazioni dei personaggi rappresenta una pecca del film che complessivamente raccoglie, comunque, un giudizio positivo.