Drupi: «La mia filosofia di vita è regalare un sorriso»

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Le sue canzoni continuano a essere ascoltate e cantate da generazioni di nonni, padri, madri, figli e nipoti. Il suo successo attraversa il tempo e non sbiadisce. Il cantautore di Pavia, sabato scorso, ha aperto il nuovo tour a Bagnaria. Ed è stato un trionfo. Ecco la cronaca di un incontro giù dal palco, in esclusiva per i lettori del Popolo

Così piccola e fragile mi sembri tu e sto sbagliando di più. Così piccola accanto a me e fragile o no ma in fondo sei molto più forte di me!» Chi non ricorda almeno una volta di aver cantato queste parole, magari in macchina, ascoltando musica da un mangiacassette, vecchio archetipo dell’autoradio, andando in vacanza, rigorosamente con i finestrini abbassati, senz’aria condizionata!

Oppure: «Regalami un sorriso per i miei giorni tristi per quando farà buio e tu non ci sarai…».

Non un secolo fa, ma intorno ai Settanta e Ottanta, quando era ancora ben al di là da venire l’usanza, a dire il vero parecchio asettica, di ascoltare musica dai telefonini o dalle varie piattaforme, ma ci si concedeva il piacere di accarezzare un vinile o inserire nel mangianastri una musicassetta. E cantare a squarciagola, in estati che sembravano non finire mai, nell’illusione bella che la spensieratezza di quei giorni fosse per sempre. E Drupi, al secolo Giampiero Anelli da Pavia, di compagnia, musicalmente parlando, ne ha fatta parecchia alle generazioni di quegli anni e a quelle di oggi che non lo ascoltano più su vinile, ma magari su Spotify e, comunque, lo ascoltano e cantano ancora i suoi grandi successi. Sempre in macchina, ma con i finestrini chiusi e con il condizionatore a mille. È il destino dei grandi, quello di attraversare i tempi, di essere trasversale, senza che il successo sbiadisca.

Incontriamo Drupi dopo il suo concerto di sabato 10 luglio in quel di Bagnaria, con il quale ha aperto il suo “Fuori target tour” che lo porterà nei prossimi mesi in giro per l’Italia e per il mondo. Ci saluta con la sua voce inconfondibile.

Drupi, che effetto ti ha fatto ripartire da “casa tua”, dalla provincia di Pavia?

«È stato davvero tutto molto bello. Primo perché finalmente si poteva ripartire. E poi perché iniziava il mio nuovo tour, con tante date prima in Italia, poi in Austria, Svizzera, a settembre a Praga e così via. Finalmente si è ripartiti e se non si faranno di nuovo delle imprudenze, potremo continuare. Pensavo di essere emozionato e lo ero, ma il contatto con il pubblico mi ha aiutato e subito è saltato fuori l’animale da palco che è in me. Poi essere a due passi da casa ha reso tutto ancora più significativo. Pavia per me è un pezzo del cuore, è il mio tutto, mi hanno fatto proposte di abitare in luoghi diversi, ma mai abbandonerò Pavia. Da giovane avevo una casetta a Pizzocorno, che poi ho venduto, che mi ricorda le serate trascorse a cantare, il barbecue, l’amicizia. Come posso abbandonare questa terra?».

Una carriera costellata da tanti trionfi. Com’è iniziato tutto?

«Un po’ per gioco. Erano gli anni della Beatles mania, dei cappelloni. Avevo degli amici che suonicchiavano e vedevo che il fatto stesso di dire di essere musicisti aiutava a cuccare. Allora ho chiesto di poter suonare anch’io ed è scoccata la scintilla, l’amore per la musica. Suonavamo nei locali in quanto non c’erano le discoteche, dal vivo».

E la svolta, la virata verso il successo?

«È Vado via, la canzone che mi ha dato la possibilità di smettere di fare l’idraulico, è quella alla quale forse sono più affezionato, quella che mi rappresenta tutto. Fu proposta a Mia Martini che accettò di presentarla al Festival di Sanremo del 1973. Dieci giorni prima del Festival disse che non ci sarebbe andata e, quindi, mandarono me. “Un ragazzetto”, come scrissero. Arrivai ultimo. Pensavo di dover tornare a fare l’idraulico, ma per una serie di coincidenze fortunate Vado via è diventata una hit che ha fatto il giro del mondo».

Ora ti dico il titolo di quattro canzoni. Per ognuna una tua sensazione, così, di getto. Iniziamo da Piccola e fragile.

«È il brano che mi ha consacrato in Italia, dopo anni di successi solo all’estero. Se sono conosciuto nel nostro Paese lo devo a lei».

Sereno è

«Mi ricorda Luigi Albertelli, il grande paroliere di Tortona, autore di brani indimenticabili. Eravamo in galleria del Corso a Milano e nella vetrina di una cartolibreria c’era un poster di Snoopy con la scritta Sereno è… Ma che bella canzone salterebbe fuori con questo titolo – gli dissi – e così è nata Sereno è».

Regalami un sorriso

«È la mia filosofia di vita. Prenderla con quella leggerezza positiva, cercando sempre di sorridere e regalare agli altri un sorriso».

Era bella davvero

«Con questo brano partecipai a Sanremo nel 1988. Ma me la ricordo perché in quell’occasione è stato un grande discografico a convincermi, non senza fatica, ad andarci. Dopo pochi giorni ha deciso di lasciare la discografia e andare a lavorare in un’azienda di telefonia! A questa canzone associo questo ricordo».

Che hobby ha Drupi?

«La mia grande passione è la pesca. Io canto per hobby, ma vivo di pesca. Partecipo a un sacco di gare, anche all’estero e pesco sulle rive del Ticino quando voglio un po’ di tranquillità. Mi fa bene pescare, mi aiuta a stare meglio».

Un’ultima domanda: come sta la musica oggi?

«Mah, se parliamo di musica intesa come arte che deve emozionare credo che siamo messi parecchio male. Io penso ai Beatles, ai grandi cantanti della mia generazione… Buscaglione… Dalla… i grandi se ne sono andati, De Gregori ormai fa poco… Che dire, quest’ondata di rap e di musica che viene fatta solo per soldi e per immagine non mi piace. È solo musica da vedere, poco più. Non è il mio mondo.

Passando poi alla situazione attuale, spero davvero che si possa ripartire. Me lo auguro perché la musica non è, come tanti pensano, semplicemente un qualcosa di più, di superfluo, di cui si può fare a meno. Senza la musica e senza la musica dal vivo la gente è triste. La musica è come le api. Spesso il loro lavoro non si vede, ma se si dovessero fermare cade il castello della vita. La musica è essenziale e spero non si debba smettere più perché se ripartiamo noi vuol dire che anche il resto è sulla buona strada».

Marco Rezzani

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