È Natale, ma le nostre famiglie non mettono al mondo bambini
L’inarrestabile declino della popolazione: l’Istat conferma la recessione demografica. L’Italia da troppo tempo è uno dei Paesi che meno sostengono la scelta di avere figli
«Nel 2020, a causa della paura e del disagio legati alla pandemia, sono nati 15 mila bambini in meno rispetto al 2019, per un totale di poco meno di 405 mila.
Per quanto riguarda il 2021, se andrà bene ci saranno 390 mila nati e quindi ancora una volta il record più basso di sempre».
Lo ha detto Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, commentando il nuovo Censimento della popolazione e dinamica demografica – 2020, che ha evidenziato anche come la mortalità nei primi nove mesi del 2021 è rimasta uguale allo stesso periodo del 2020.
«Se dovessimo arrivare a 700 mila morti, la popolazione al 31 dicembre scenderà al di sotto dei 59 milioni. Un dettaglio su cui la gente non si è ancora soffermata».
A preoccupare il presidente Istat è anche la mortalità degli stranieri. Per Blangiardo le statistiche «danno una serie di messaggi, identificano fenomeni rispetto ai quali occorre fare le considerazioni sugli interventi necessari».
Il deficit di nascite rispetto ai decessi è dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana, mentre per la popolazione straniera – che risulta pari all’8,7% dei censiti – il saldo naturale resta positivo, +50.584.
«Senza il contributo fornito dagli stranieri, che attenua il declino naturale della popolazione residente in Italia, si raggiungerebbero dati ancora più drammatici» – sottolinea l’Istat.
Il numero medio di figli per donna è sceso nel 2020 a 1,24 mentre era 1,44 negli anni 2008-2010.
Alla costante tendenza alla diminuzione delle nascite si è sommata l’incidenza della pandemia.
«Mentre le ragioni della denatalità vanno ricercate soprattutto nei fattori che hanno contribuito alla tendenza negativa dell’ultimo decennio (progressiva riduzione della popolazione in età feconda, posticipazione e clima di incertezza per il futuro), – osserva l’Istituto nazionale di statistica – il quadro demografico del nostro Paese ha subito un profondo cambiamento a causa dell’eccesso di decessi direttamente o indirettamente riferibili alla pandemia da Covid-19».
Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e autore del recente Crisi demografica – Politiche per un Paese che ha smesso di crescere (Vita e Pensiero) ha dichiarato al Sir: «Nella valutazione generale va anche considerata l’entità della ripresa dopo la crisi sanitaria. Solo se sarà una ripresa in grado di alimentare una solida inversione di tendenza delle nascite, l’Italia avrà ancora la possibilità di evitare lo scenario peggiore, quello di squilibri demografici progressivamente insostenibili. Purtroppo l’Italia da troppo tempo è uno dei Paesi che meno sostengono la scelta di avere figli e mettono poi nelle condizioni di investire adeguatamente sulla loro crescita e formazione».
«Da decenni – ha aggiunto – le politiche familiari e per le nuove generazioni sono tra le più deboli e carenti in Europa».
«Per far ripartire la natalità, partendo dai livelli più bassi in Europa e con una struttura demografica meno favorevole, – secondo Rosina – è necessario passare dall’essere stati nel decennio scorso i peggiori, a porsi ora come l’esempio da seguire nelle politiche da realizzare dal 2022 in poi. Per farlo serve una valida combinazione tra l’uso delle risorse europee di Next generation, l’attuazione delle misure integrate previste nel Family act e un clima che torni ad essere positivo e incoraggiante verso le scelte del presente che impegnano positivamente verso il futuro».
Daniela Catalano