E non se ne vogliono andare
È il titolo di un film di Giorgio Capitani del 1988, nel quale si rappresentano le dinamiche di una famiglia in cui i figli, pur avendo raggiunto l’età adulta, continuano a vivere con i genitori. La situazione non è mutata: per distrarci dal pensiero della recrudescenza pandemica, è uscita una statistica dalla quale risulta che i giovani italiani volano fuori dal nido non prima dei 30 anni, mentre nei Paesi del Nord Europa il distacco si verifica intorno ai 18. Quindi, se Dante si trovava nel «mezzo di cammin di nostra vita» a 35 anni, oggi a quell’età, nel Bel Paese, si è ancora «sul limitar di gioventù». Concedendo qualche ora di pausa ai virologi, gli opinionisti televisivi si sono interrogati circa le motivazioni che inducono gli italici bamboccioni a rimanere nella dimora avita: la ragazza, assistendo casualmente alla prolusione di uno di questi, stigmatizza: «Che polemica inutile! Piace rimanere a vivere in casa: la mamma lava, stira, cucina gratis e il papà magari allunga la paghetta, anche se i figli hanno 30 anni. Quella del lavoro che manca è una scusa bella e buona: se vuoi lavorare, fai qualunque cosa e ti adatti!».
Resto basita di fronte a cotanto decisionismo, ma è conforme al personaggio che, essendo nella fase del “Don’t keep calm and fly high”, favoleggia per il proprio futuro l’iscrizione a un’Università del Sud Italia, in una località dove la temperatura non scenda sotto i 15 gradi, o in un Paese straniero dal clima temperato. Tale spiccata tendenza all’autonomia è per noi pane quotidiano: fatta eccezione per i passaggi in auto, determinati dalla ritrosia a utilizzare le gambe sulla terraferma, sono rare le occasioni in cui si richieda l’ausilio dei genitori, propendendo a una “beata solitudo, sola beatitudo”, tanto che spesso vengo apostrofata: «Vieni a casa a pranzo? A me piace mangiare da sola! Se mi passi a prendere per andare ad allenamento, a casa ci vediamo nel tardo pomeriggio». Sullo stipite della porta di casa nostra potrebbe essere incisa la lapidaria frase di Khalil Gibran: “I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro, e benché stiano con voi non vi appartengono”. Un’ulteriore conferma si è palesata durante lo “spesone” settimanale: mentre attendiamo il nostro turno al banco gastronomia, notiamo vicino a noi una signora in compagnia del figlio sui 25 anni: gli accarezza senza sosta il braccio, gli sistema il colletto della camicia, gli sposta un ciuffo di capelli dalla fronte. La ragazza, quando si allontanano, esplode: «Hai visto quel rimbambito lì? Quello resterà in casa con mammà fino a 40 anni!». È evidente che la figliola non è un soggetto statistico: se ne vuole andare!