Eitan e tutti gli altri bambini
La recente liberazione degli ostaggi da parte di Hamas mi ha fatto ripensare alla vicenda del piccolo israeliano sopravvissuto all’incidente della funivia Stresa-Alpino-Mottarone
di LUIGI MARUZZI
“Il 7 ottobre 2023 Hamas ha lanciato un massiccio attacco a sorpresa nel sud di Israele, uccidendo centinaia di civili e soldati e prendendone altre decine in ostaggio. In risposta, Israele ha dichiarato guerra al gruppo e ha iniziato pesanti bombardamenti su Gaza”. La sintesi pubblicata dall’Ispi di Milano ci aiuta a capire la portata del recente accordo di tregua stipulato tra Israele e Hamas; nella striscia di Gaza è stata riattivata l’erogazione dell’acqua e dell’energia, e sono entrati gli automezzi carichi di aiuti umanitari. Per noi spettatori è stato quasi impossibile rimanere indifferenti di fronte al rilascio degli ostaggi trasmesso sui canali tv nazionali in una sequenza di appuntamenti cominciata il 20 gennaio. Per mesi, i giovani rapiti da Hamas sono stati allenati a sopportare sofferenze ingiustificate e ad allontanare lo spettro della disperazione. E forse alcuni di loro potrebbero essere stati colti di sorpresa alla notizia dell’accordo, in bilico tra la voglia di credere ancora e la tentazione di salire sul carro dei disillusi. La violenza e l’odio sono capaci di lasciare l’impronta dei propri anfibi sulla liberazione trasformandola in una soddisfazione amara. A essere sincero, per me assistere al ritorno degli ostaggi reclamati da Israele è stato come rivivere una storica gara olimpionica dove un atleta concentrato e silenzioso, col numero debordante dal profilo del suo fisico tutt’altro che scolpito, insospettabilmente arriva al traguardo prima degli altri. Poi, però, mi è subentrata la compassione, autentica e senza distinzione di nazionalità. In situazioni di questo tipo conta molto il fatto di avere una diretta cognizione di cosa significhi sentirsi schiacciati da uno stato di isolamento e abbandono; sono reazioni che ritroviamo anche di fronte ad accadimenti meno importanti della liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas. Personalmente, ad esempio, sono stato colpito dalla vicenda del bambino israeliano sopravvissuto all’incidente della funivia Stresa-Alpino-Mottarone (23 maggio 2021). A un primo esame potremmo definirla una fatalità, un groviglio disgraziato paragonabile al crollo del ponte Morandi di Genova (14 agosto 2018) oppure al collasso dell’albergo di Rigopiano sotto il peso della neve (18 gennaio 2017). Ma quando la fatalità si abbatte sulle sorti di un individuo, sarebbe più realistico parlare di tragedia. Tanto più se l’individuo è rappresentato da un bambino che nello spazio vitale di una gita finisce per perdere un fratello ed entrambi i genitori. Come un liquido di contrasto iniettato in un circuito di vasi comunicanti, il dolore di quel bambino ha finito per colorare di solitudine e malinconia anche il mio animo. Da quel momento, mi sono interrogato su cosa potessi fare per alleviare le sue condizioni. Intanto la storia va avanti e nel settembre del 2021 il nonno viene in Italia e preleva il nipotino per portarlo con sé in Israele. Sicuramente, non sta a me stabilire se si sia trattato di un “sequestro di persona”, come scritto nella denuncia. Quello che desidero condividere è il fatto che i rapimenti, a prescindere dalle vittime, si somigliano. La prima cosa che viene a mancare è la pace, pace nella città in cui si vive, pace in ambito famigliare, pace nel proprio mondo interiore. Grazie al cielo, per il bambino protagonista involontario e inconsapevole dell’incidente del Mottarone sono intervenute novità importanti: è stato riaffidato alle amorevoli cure della zia che vive nel Pavese e con sentenza del 26 febbraio 2024 gli è stato riconosciuto un ingente risarcimento. Chissà cosa sarebbe accaduto se fosse rimasto in Israele. Sono sicuro che avrebbe voluto frequentare i suoi coetanei, e magari avrebbe stretto amicizia anche con qualche bambino palestinese. Ma a questo punto ricompare l’immagine dei bambini palestinesi mutilati in seguito ai bombardamenti su Gaza, e la mia mente si rifiuta di affastellare ipotesi. Quest’anno dovrebbe compiere 10 anni e, nonostante il tempo trascorso, il suo ricordo continua ad alimentare una specie di secondo istinto paterno con la stessa energia affettiva scoperta nella primavera del 2021 per un bambino di cui ho conosciuto solo il nome: Eitan.
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