Essere bambini: telescopio dell’amore del Padre

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Sinodo dei Vescovi. Sono in corso in Vaticano i lavori della II sessione. Il Papa, avviando la nuova fase, ha pronunciato parole molto significative per il cammino che attende la Chiesa

DI MARCO REZZANI

Sono in corso in Vaticano a Roma i lavori della seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Dopo la pubblicazione il mese di luglio scorso dell’Instrumentum laboris, il 1° ottobre, con una veglia penitenziale, Papa Francesco ha avviato il nuovo capitolo del Sinodo sulla sinodalità, che ha per tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. I lavori termineranno il prossimo 27 ottobre.

Nella memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, mercoledì 2 ottobre, il Santo Padre ha presieduto al mattino in piazza San Pietro la Messa di apertura dell’Assemblea e nel pomeriggio ha presenziato alla prima congregazione generale. In entrambi i casi ha pronunciato parole molto significative per il cammino che attende la Chiesa. Nell’omelia della Messa, il Papa è partito da tre parole: la voce, il rifugio, il bambino. «Nel cammino verso la Terra promessa – le parole del Pontefice – Dio raccomanda al popolo di ascoltare la “voce dell’angelo” che Lui ha mandato (cfr. Es 23,20-22). È un’immagine che ci tocca da vicino, perché anche il Sinodo è un cammino, in cui il Signore mette nelle nostre mani la storia, i sogni e le speranze di un grande Popolo: di sorelle e fratelli sparsi in ogni parte del mondo, animati dalla nostra stessa fede, mossi dallo stesso desiderio di santità, affinché con loro e per loro cerchiamo di comprendere quale via percorrere per giungere là dove Lui ci vuole portare». «Ma come possiamo, noi, metterci in ascolto della “voce dell’angelo”?». Volgendo lo sguardo ai tre anni di cammino sinodale fin qui compiuto, «si tratta – la risposta di Francesco – con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare e comprendere le voci, cioè le idee, le attese, le proposte, per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa (cfr.Renato Corti, Quale prete? Appunti inediti). Come abbiamo più volte ricordato, la nostra non è un’assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto nella comunione, in cui, come dice San Gregorio Magno, ciò che qualcuno ha in sé parzialmente, è posseduto in modo completo in un altro e benché alcuni abbiano doni particolari, tutto appartiene ai fratelli nella “carità dello Spirito” (cfr. Omelie sui Vangeli, XXXIV)».

Secondo il Papa è necessaria però una condizione: che si lasci lavorare proprio la “carità dello Spirito” che sa creare armonia nelle diversità: «Ogni parola va accolta con gratitudine e con semplicità, per farsi eco di ciò che Dio ha donato a beneficio dei fratelli (cfr. Mt 10,7-8). Nel concreto, badiamo a non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agende da imporre, ma offriamoli come doni da condividere, pronti anche a sacrificare ciò che è particolare, se ciò può servire a far nascere insieme qualcosa di nuovo secondo il progetto di Dio. Altrimenti finiremo per chiuderci in dialoghi tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri, e soprattutto senza ascoltare la voce del Signore», certi che le soluzioni ai problemi «non le abbiamo noi, ma Lui».

La seconda immagine usata dal Pontefice è quella del rifugio e delle ali che custodiscono. Come recita il Salmo, “sotto le sue ali troverai rifugio”. «Sono strumenti potenti le ali – spiega il Papa– capaci di sollevare un corpo da terra coi loro movimenti vigorosi. Però, pur così forti, possono anche abbassarsi e raccogliersi, facendosi scudo e nido accogliente per i piccoli, bisognosi di calore e di protezione. Questo è un simbolo di ciò che Dio fa per noi, ma è anche un modello da seguire, in particolare in questo momento assembleare. Tra noi, cari fratelli e sorelle, ci sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto con i movimenti vigorosi di riflessioni e intuizioni geniali. Tutto ciò è una ricchezza, che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto e ad andare avanti con decisione, come pure ci aiuta a rimanere saldi nella fede anche di fronte a sfide e difficoltà». Un cuore aperto aiuta il dialogo: «È un dono l’aprirsi, un dono che va unito, a tempo opportuno, alla capacità di rilassare i muscoli e di chinarsi, per offrirsi gli uni agli altri come abbraccio accogliente e luogo di riparo: per essere, come diceva San Paolo VI nel suo Discorso al Consiglio di Presidenza della Cei il 9 maggio 1974, “una casa […] di fratelli, un’officina d’intensa attività, un cenacolo di ardente spiritualità”».

Infine l’immagine del bambino. È il Signore stesso che nel Vangelo lo pone al centro, lo mostra ai discepoli e a noi con l’invito a convertirsi e a farsi piccoli come lui, aggiungendo che accogliendo un bambino nel suo nome si accoglie Lui (cfr. Mt 18,1-5). «E per noi questo paradosso è fondamentale.– afferma Francesco a proposito dei lavori sinodali – Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” nella mente, nel cuore, nelle vedute –, perché sono “grandi” e delicate le questioni da trattare, e ampi, universali gli scenari entro cui esse si collocano. Ma proprio per questo non possiamo permetterci di staccare gli occhi dal bambino, che Gesù continua a mettere al centro delle nostre riunioni e dei nostri tavoli di lavoro, per ricordarci che l’unica via per essere “all’altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarci, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà. Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più. Ricordiamoci che è proprio facendosi piccolo che Dio ci “dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio” (Benedetto XVI, Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 11 gennaio 2009). Non a caso Gesù dice che gli angeli dei bambini “vedono sempre la faccia del Padre […] che è nei cieli» (cfr. Mt 18,10): che sono, cioè, come un “telescopio” dell’amore del Padre”».

(Foto: Vatican Media/SIR)

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