Fecondazione e manipolazione

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di Maria Pia e Gianni Mussini

Gianni e Maria Pia ci misero un po’ ad avere il loro primo figlio. Tanto che, dopo un paio d’anni, si decisero agli opportuni esami, e qualcuno ipotizzò – non senza fondamenti scientifici – che potessero essere sterili. La notizia precipitò su di loro come una sassata, visto che nei loro progetti di fidanzatini si fantasticava di ben quattro bambini… Però “mai arrendersi”, secondo il motto che Gianni ha ereditato – più che da Winston Churchill (a cui apparterrebbe il copyright) – dalla sua lunga militanza sportiva.

Decisero così di darsi subito da fare, procedendo su due percorsi paralleli: da un lato approfondire le indagini mediche, dall’altro informarsi per le pratiche di adozione. Sino a quando, consultati due luminari milanesi, si sentirono consigliare soprattutto una buona vacanza. «Mare o monti?», chiesero. «Va bene anche Desio; dovete stare tranquilli». In effetti, dopo una vacanza mare-monti (isola di Vulcano + Dolomiti) le cose si misero meglio e, al primo ritardo, Maria Pia fece il test di gravidanza poco prima di uscire di casa. Era il giorno dell’Immacolata, il Vangelo della Messa era proprio quello del misterioso concepimento della Vergine: “Nulla è impossibile a Dio”.

Tornati a casa, ecco che il test “annuncia” la primogenita Cecilia, a cui – come i lettori sanno – seguiranno Giacomo e Lorenza.

L’emozione e la dolcezza che si provano in quei momenti li può capire solo chi li ha provati. E non si può fare a meno di pensare con molta empatia e un po’ di sgomento alle donne – alle coppie – a cui non è possibile un concepimento tanto desiderato. Né ci si sogna di giudicare chi ricorre, per dare vita al desiderio di genitorialità, alle pratiche di fecondazione assistita.

Empatia e assenza di giudizio non significano però condivisione del metodo, che implica comunque una manipolazione del portentoso mistero della generazione di una vita nella sua «magia creaturale», come l’ha definita Giuliano Ferrara.

Così, quando Gianni e Maria Pia hanno letto del Salone della procreazione assistita che si è svolto per la seconda volta a Parigi all’inizio di settembre (e programmato per la prossima primavera a Milano con il titolo “Un sogno chiamato bebé”), in cui si è aperta la strada anche alla pratica dell’“utero in affitto”, hanno ripensato alla loro storia: al deserto che hanno dovuto attraversare senza mai abbandonare la speranza, che dopo tutto è virtù teologale.

Hanno pensato anche alle tante donne, per lo più di Paesi poveri, usate come “contenitori” di un bambino che poi chiamerà “mamma” qualcun’altra. Ben a ragione anche diverse femministe si scagliano contro questa pratica, che svilisce il corpo e gli affetti profondi di una donna.

Una pratica che, oltre a tutto, rientra pienamente in quella “colonizzazione culturale” da cui più volte ha messo in guardia Papa Francesco: diamogli ascolto!

cantiamolavita@katamail.com

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