Giocare al Giro d’Italia
di Maria Pia e Gianni Mussini
Torna il Giro d’Italia, appuntamento imperdibile nella liturgia di ogni anno. Stavolta è partito dall’Ungheria, con un tocco di giusto europeismo: perché se siamo italiani, siamo anche europei, perbacco. E cittadini del mondo.
Ma poi è arrivato sulle nostre strade: un flash di colori che attraversa paesi e città, accompagnato da un genuino entusiasmo popolare.
Non è più il ciclismo dei tempi di Coppi e Bartali, gli eroi dei nostri genitori, quando non c’era la TV e l’epos era affidato alle radiocronache di Mario Ferretti. Dunque non si vedeva nulla della tappa, e forse era proprio questo il bello: la fantasia galoppava e i corridori (allora così simili ai molti che inforcavano la bici per andare al lavoro) assumevano i tratti dei cavalieri antichi. Sentite Ferretti: «Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi»: altro che Omero!
Dunque il ciclismo è soprattutto un piacere mentale. Lo era per il papà di Maria Pia, bartaliano convinto e ciclista in proprio (andava sui nostri colli per poi, lasciata la bici, avventurarsi a piedi in montagna con gli Scout). Lo è sempre stato per Gianni, che appena può non si perde una tappa del Giro o del Tour, a tacere dei Mondiali e della Sanremo. Con la sua sensibilità – si potrebbe dire “spiritualità” – di girovago, Gianni è affascinato dagli itinerari. Le tappe di pianura sono belle, con il gruppo che monotono sfila nel verde in attesa del “colpo di coltello” finale (così il compianto telecronista Adriano De Zan). Quelle alpine sono affascinanti per i paesaggi e per il contenuto tecnico. Ma a Gianni interessano in particolare certe tappe che nell’Italia centrale virano verso l’interno, toccando località appartate come Volterra, Macerata, Poppi…
Da ragazzo, Gianni aveva inventato, con i suoi fratelli, un gioco che, con i dadi, simulava appunto il ciclismo. C’erano 4 squadre (come i fratelli più piccoli della famiglia), ciascuna con 4 corridori, ognuno dei quali aveva dei bonus a seconda delle proprie caratteristiche tecniche (salita, cronometro, volata): i nomi erano quelli di Gimondi, Motta, Anquetil, Bitossi, sino all’invincibile Merckx. Naturalmente chi guidava la corsa, avendo “l’aria” contro, doveva faticare di più e gli conveniva stringere accordi con qualcuno che gli desse il cambio. Il tutto naturalmente prevedeva intese anche truffaldine con questo o quell’altro fratello. E c’erano rigorosi bilanci da rispettare: tra entrate e uscite, si era scoperto che una piccola dose di “inflazione” serviva a tenere in vita il gioco, impedendo fallimenti: i fratelli Mussini avevano preceduto il “Whatever it takes” di Mario Draghi…
Del resto che cosa c’è di più serio che giocare? Appena smetti di farlo, scoppia una guerra. E il Giro d’Italia ci insegna anche questo.
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