Giornalisti senza autocensura

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Il forte richiamo del presidente della Repubblica: «Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e realtà.»

Di Pierangela Fiorani

«Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica». Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha pronunciato chiare e forti queste parole qualche giorno fa in occasione della cerimonia del Ventaglio che si svolge per tradizione ogni anno alla vigilia delle ferie d’agosto durante l’incontro con i giornalisti parlamentari. Erano molti i temi sul tappeto, a cominciare da quello delle guerre in atto da mesi e mesi non molto lontano da noi. Ma c’era stato un grave episodio di violenza poche ore prima a Torino contro un cronista della Stampa e da lì occorreva partire. Il fatto era quello di Andrea Joly che aveva “osato” filmare una festa di Casa Pound che si svolgeva per strada, all’aperto. Alcuni militanti glielo hanno impedito. Joly è stato poi percosso, preso a calci, sbattuto a terra. Il quotidiano torinese, riferendo i fatti, aveva anche preso una posizione chiarissima già nel titolo dell’editoriale di commento: “Perché l’aggressione a Joly ci riguarda tutti”. Subito era arrivata la condanna della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Più tiepido è apparso il presidente del Senato Ignazio La Russa che ha detto: «Condanno la violenza, ma lui poteva dichiararsi». Tante le polemiche. Sacrosanto il pronunciamento del presidente Mattarella che non ha esitato a dedicare una buona parte del suo intervento al tema sempre caldo – oggi un po’ di più – della libertà di stampa. Un’aggressione che ci riguarda tutti, appunto. Che tutti tocca: i giornalisti, certo, ma anche noi che ci aspettiamo sempre puntuali e veritiere narrazioni degli avvenimenti. Ecco perché sono stati lunghi e articolati i passaggi dell’intervento del presidente. Solo qualche altra citazione è bene farla. «La democrazia – ha detto Mattarella – è, prima di tutto, conoscenza. È contesto nel quale avviene il confronto fra le idee e si esercita il diritto a manifestarle e testimoniarle». E ha aggiunto: «Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e realtà. Si affianca, in democrazia, il diritto a essere informati, in maniera corretta. Informazione, cioè, anche come anticorpo contro le adulterazioni della realtà. Operare contro le adulterazioni della realtà costituisce una responsabilità, e un dovere, affidati anzitutto ai giornalisti». Ancora: «Si vanno infittendo, negli ultimi tempi, contestazioni, intimidazioni, se non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Documentazione dell’esistente, senza obbligo di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati. Raccolta di sensibilità e denunce della pubblica opinione. Canale di partecipazione e appello alle istituzioni». Per garantire tutto questo bisogna annunciarsi? Bisogna essere invitati? Serve il permesso per seguire un evento pubblico che sul pubblico suolo di svolge? E la libertà di esserci, di andare, di usare le scarpe, di documentare, di raccontare, di testimoniare? In momenti come questi serve più che mai ricordare storie tragiche di cronisti che hanno perso la vita per aver voluto esserci e dire anche quello che i vari “poteri” in campo in quei luoghi, in quei momenti, avrebbero voluto tenere coperto, nascosto. Come dimenticare il sacrificio di Ilaria Alpi (inviata Rai) uccisa in un agguato a Mogadiscio insieme al suo operatore Miran Hrovatin mentre indagava con coraggio sulla mala cooperazione e sul traffico illecito di armi e di rifiuti tossici. È lungo, pur restando in Italia, l’elenco dei giornalisti che hanno perso la vita per mano di gruppi eversivi o della criminalità organizzata. Basti citare Mauro de Mauro, il cui corpo non è mai più stato ritrovato, forse occultato in una colata di cemento, Giuseppe Alfano, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi. La loro colpa? Avere fatto fino in fondo un lavoro amato con piena fiducia nell’articolo 21 della nostra Costituzione che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Nel solo 2023 sono stati uccisi nel mondo 97 giornalisti. Grandi pericoli. Piccole e pesanti intimidazioni non conoscono confini. Gli operatori dell’informazione sotto scorta in Italia, secondo i dati dell’Ordine dei giornalisti, erano – sempre nel 2023 – 22, ma per 250 era attiva la “vigilanza”. Conosco personalmente alcuni colleghi sotto scorta e posso testimoniare che la loro vita è cambiata in peggio: non sono più liberi di andare anche solo a fare la spesa o a prendersi un gelato con i figli senza dover avvertire i loro angeli custodi di ogni minimo movimento. L’Ordine sottolinea anche che la matrice degli atti intimidatori è in gran parte riconducibile a contesti socio-politici locali. Non occorre andare in territori di guerra o in Paesi in cui vige un regime di polizia per sentire, a volte, il fiato sul collo di certi potentati o sedicenti tali che provano a farsi scomodamente presenti con una battuta tra il serio e il faceto, un intervento chiesto a “qualcuno che conta” presso l’editore, una querela giusto per mettere le mani avanti. Le regole per chi fa il nostro lavoro sono chiare dal momento in cui lo si intraprende. Fare onestamente il giornalista significa guardare con occhi liberi, limpidi, avere rispetto per le persone in qualunque situazione si trovino. Non essere forti con i deboli, e nemmeno deboli con i forti. E tenere a bada il più subdolo dei nemici: l’autocensura.

pierangelafiorani@gmail.com

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