Gratitudine e biblioteche umane
Sta per finire un’estate esagerata, di parole urlate, “overtourism”, panfili naufragati, delitti efferati. In cui solo il Pontefice e il Presidente della Repubblica si sono distinti dal chiacchiericcio da spiaggia. E a settembre?
Di Pierangela Fiorani
Gratitudine. Metto questa parola un po’ desueta all’inizio della nostra conversazione, cari lettori. La voglio tenere in primo piano con l’intenzione di riprenderla tra poco. Non prima però di aver ragionato per qualche riga con voi su questa estate esagerata – non solo per colpa del caldo – che ci stiamo lasciando alle spalle. Abbiamo visto tanti fuggire in un qualunque altrove, affrontare ritardi indicibili sui treni, sopportare lo stress di aerei scomparsi per i viaggi di ritorno, fare code di ore sotto il sole in autostrada e non so che altro, pur di esserci e di essere protagonisti di un rito collettivo persino più esasperato del solito. Tutti insieme pronti ad andare a creare quello che, con l’ennesimo neologismo, è stato definito “overtourism”, cioè affollamento inverosimile nelle località più gettonate, sia per i movimenti interni, sia per eccezionali arrivi dall’estero. Insomma spostamenti e concentrazioni sovrabbondanti che forse ancora risentono di una frenesia dettata dalla post pandemia Covid. Eccessive sono state – in queste settimane – anche le parole della politica, anzi di coloro che della politica fanno mestiere. Parole sempre più urlate e, pare assurdo, sempre più inascoltate. E presto anche dimenticate, cancellate, senza che ci sia stata la volontà di veri scambi di opinione e di ragionamenti da poter comporre in decisioni concrete e positive: tanto poi agosto passa e si parlerà d’altro. In uno scenario eccedente, gonfiato, sproporzionato, iperbolico, dove non sono neppure mancati delitti sempre più assurdi e naufragi di “inaffondabili” panfili milionari di cui si sono nutrite le cronache, ci saremmo dimenticati di ricordare ciò che è indispensabile invece non dimenticare mai, se non ci fosse stato qualcuno che non ha mai mollato la barra di un dritto cammino. Mentre tutto ci suonava come chiacchiericcio da lasciare in sottofondo per non turbare la voglia di spensieratezza, ho sentito nitidamente alzarsi e restarmi nel cuore le frasi non certo urlate del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e quelle ripetute con costanza da Papa Francesco. Il primo, in una smemorata vigilia di Ferragosto, che ha fatto dimenticare persino al Governo di mandare un suo rappresentante sul posto, ha offerto efficace memoria dell’anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, a 80 anni esatti da quel tragico 12 agosto del 1944 in cui i tedeschi trucidarono 560 persone, bruciandone addirittura le case, con tutto ciò che contenevano, nel tentativo di cancellare l’intero paese-comunità della Lucchesia. Nessuna ostentazione, ricordo pacato di un dolore che non si può e non si deve consegnare all’oblio. Un memento per tutti, contro tutte le guerre. E Papa Bergoglio, affacciandosi puntualmente in piazza San Pietro e incontrando i fedeli nelle udienze in Vaticano, nonostante i giorni di solleone, non ha mai smesso di invocare la pace per quegli scenari di guerra che non hanno potuto godere nemmeno di un’ora di tregua, ben lontani dal lasciare intravvedere finalmente una fine. Riconoscenza. Meglio, gratitudine. Eccola qui la nostra parola. Perché proprio questo hanno saputo suscitare – in me, ma credo non solo in me – quei pronunciamenti che ci hanno anche suggerito: fermatevi, non è questa la vera pausa di cui hanno bisogno le vite di tutti noi. Un Presidente e un Papa hanno unito le loro forze, le loro voci per sottolineare atrocità del passato e orrori del presente. Chi avrà avuto voglia di ascoltarli davvero? Ora che queste vacanze sono archiviate (e chiedo scusa a chi non ha potuto goderne, perché lo sappiamo bene, anche se preferiamo ignorarlo, che i casi della vita non sono sempre felici a dispetto delle scadenze di luglio e agosto) possiamo suggerirci a vicenda qualcosa per i progetti di ferie future e non solo. Perché non mettere in conto di usare il nostro tempo sospeso, breve o lungo che sia, per frequentare proprio i luoghi della memoria, anche quelli più vicini a noi? Per farci dire, se non lo sappiamo, chi e cosa rappresentano. Semplicemente per ascoltarli in silenzio. Ne abbiamo bisogno. C’è una necessità generale di tornare alla nostra storia più recente spesso trascurata pure a scuola, dove antichi egizi, greci e romani sembrano più vicini di quanto lo sia un bel pezzo di ’900 che resta relegato a qualche accenno di fine programma. La storia, anche quella che si alimenta di piccole storie, merita attenzione e gratitudine. Cade quest’anno il quarantesimo anniversario della fondazione dell’Archivio dei Diari a Pieve Santo Stefano (Arezzo). Sono ormai più di diecimila e raccontano altrettante vite salvate dalla dimenticanza grazie all’intuizione e all’impegno del giornalista scrittore Saverio Tutino che diede il via all’impresa. Storie nella storia, in grado di intrecciare uomini e donne, vicende famigliari e universali. Cosa anche questa di cui essere grati. Ditemi voi se non ispira sentimenti di gratitudine anche una iniziativa nata in Danimarca di cui leggo in queste ore. Si tratta della creazione delle “biblioteche umane” dove gli incontri non avvengono con i libri ma con persone in carne e ossa da conoscere e ascoltare: bisogno essenziale nella nostra nuova Babele fatta di molteplici e superficialissimi incontri e “amicizie” coltivate a emoticon sui social più che nella vita vera. Che bello sarebbe e quanto utile portare l’esperienza delle biblioteche umane a casa nostra, nelle nostre città, nei nostri piccoli paesi, dove è sempre più difficile incontrarsi, conoscersi e riconoscersi. C’è molto da scoprire e capire parlandosi al di là dei pregiudizi di lingua, di cultura, di provenienza. Tutte cose per cui dire grazie, appunto. Alla “Via della gratitudine” – guarda un po’ – è stata dedicata l’edizione 2024 del Festival della mente di Sarzana che si è chiuso domenica 1 settembre. Gratitudine, a quanto pare, è una parola preziosa il cui significato profondo – sono certa– ha ancora molto da rivelarci. E chissà che non torni a meritarsi un posto d’onore nel vocabolario personale di tutti noi.
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