“Hammamet” ma senza politica
“Hammamet” arriva nel ventennale della morte di Bettino Craxi e fotografa l’ultima parte della vita del leader dei socialisti italiani, durante l’esilio in quella Tunisia in cui era fuggito nel ’94 per sottrarsi alle condanne per corruzione e finanziamento illecito al partito. Ma della dimensione politica lo spettatore vedrà ben poco perché è su quella più umana e privata che Gianni Amelio si concentra per raccontare il protagonista di una delle pagine più controverse della cosiddetta “prima repubblica”. Ne emerge con finezza una figura complessa, icona di una stagione che concluse la sua parabola sotto a un lancio di monetine. Di rara potenza e quasi imbarazzante, per quanto impeccabile, il trasformismo di Pierfrancesco Favino: immenso e decadente. Non sarebbe stato lo stesso senza di lui, letteralmente scomparso sotto ore e ore di trucco, regalando un’interpretazione che, dalla camminata alla voce, ai piccoli tic, ai gesti va oltre la semplice “imitazione” e spiana la strada verso l’Oscar. Favino fa rivivere un uomo in preda a timori e scatti di ribellione, assalito dalla malinconia e da accenni di profonde riflessioni interiori. La cronaca si intreccia con gli incontri quotidiani con la figlia e la moglie, con la visita di alcuni amici di un tempo con i quali scambiare pensieri e ricordi del passato. Purtroppo però, nella memoria, la realtà tende a confondersi con la fantasia e questo è forse l’unico ma significativo punto debole del film.
Il procedere della narrazione per visioni oniriche, talvolta insistenti, restituisce, infatti, una certa ridondanza e fa perdere ritmo. “Hammamet” è comunque ben riuscito, senza voler “mistificare” i fatti reali ma con la volontà di parlare della dimensione interiore di un uomo. Vicino all’indiscusso protagonista, si posizionano altri nomi di pari valore: Giuseppe Cederna, Renato Carpentieri e Claudia Gerini. Una conferma per Gianni Amelio, che può di certo annoverarsi tra i grandi nomi del cinema italiano.
Matteo Coggiola