I diritti del concepito
di Maria Pia e Gianni Mussini
Gran parlare in casa e con gli amici sulla sentenza della Corte suprema americana che ha ribaltato quella storica del 1973 (la “Roe vs Wade”) che di fatto imponeva agli stati della Federazione una permissiva legislazione abortista, dando così un decisivo impulso alla diffusione del fenomeno.
Si potrebbero a lungo spiegare le ragioni anche tecniche della nuova sentenza: ma lo ha fatto mirabilmente lo scorso 26 giugno su “Avvenire” il giudice Giuseppe Anzani, osservando tra il resto che – stando alla lettera – neppure la decisione del 1973 ammetteva l’interruzione di gravidanza sempre e comunque, come invece è avvenuto nella pratica: con il bel risultato che negli States era possibile abortire praticamente senza limite di tempo, e sino all’orrore dei cosiddetti “aborti a nascita parziale” (parole che ci esonerano da ogni penosa spiegazione).
Come sapete, il discorso ci coinvolge nel profondo: l’accoglienza e la difesa della vita nascente (e inscindibilmente quella delle mamme) da sempre accompagnano la nostra vita familiare. Pensare dunque che grazie alla sentenza statunitense ci saranno forse meno aborti è motivo di soddisfazione.
L’esperienza ci dice però che non si sconfigge l’aborto a colpi di sentenze, e nessuna legge lo potrà sradicare definitivamente da una società ormai abituata a considerarlo come un diritto. Per rendersene conto, basterebbe riascoltare tutte le dichiarazioni fatte in questa occasione da politici, opinionisti, sostenitori dei cosiddetti “diritti civili”: nessuno dei quali ha preso in considerazione la vita del concepito, su cui prevale l’assoluta volontà della madre di decidere sul proprio corpo, sul proprio futuro e sul proprio… figlio. E nessuno ha proposto di dare una mano a queste donne – che spesso non sono veramente libere di scegliere ma sono spinte da altri (il partner, la famiglia, gli amici…) – offrendo loro l’aiuto necessario a proseguire la gravidanza.
Eppure in Italia la legge, pur spesso disattesa, ammette l’aborto solo in casi gravi, e solo sino alla dodicesima settimana, imponendo di “superare le difficoltà” che potrebbero indurre a quella tragica scelta.
Una soluzione pacificante è stata proposta in un recente convegno da Soemia Sibillo, responsabile del CAV Mangiagalli di Milano, che ha raccontato come in quel Centro dal 1984 a oggi ben 24.351 bambini siano nati da donne per lo più in possesso di certificato di aborto. E questo anche con la collaborazione di ginecologi favorevoli alla legge, ma convinti che la libertà della donna vada di pari passo con il rispetto del bambino concepito.
Ecco il punto. Si cambierà rotta quando il concepito sarà da tutti considerato portatore di diritti allo stesso modo della madre: e per fare questo è decisiva una operazione culturale che coinvolga la mente ma soprattutto il cuore.
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