I due vescovi che incarnano “l’uomo barocco”

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«Figure di santità». L’8 novembre di 400 anni fa, nel 1620, fece il suo ingresso a Tortona Mons. Paolo Arese: succedeva sulla cattedra di San Marziano a Mons. Cosmo Dossena

Quattrocento anni fa, nel 1620, la città e la diocesi di Tortona videro succedersi sulla cattedra di San Marziano due meravigliose figure di santità.

La notte tra il 13 e il 14 marzo muore improvvisamente il vescovo Cosmo Dossena, mentre il successivo 8 novembre fa il suo solenne ingresso in città il vescovo Paolo Arese.

Cosmo Dossena, di cui si è aperta la causa di beatificazione che è giunta fino al grado di “venerabile”, divenne vescovo di Tortona nel 1612 all’età, allora avanzata di 64 anni, chiudendo la successione dei tre vescovi della famiglia Gambara, che avevano profondamente segnato il cinquecento tortonese, ponendosi in continuità con il loro ministero improntato alla riforma tridentina e con ancor più determinazione sulle orme di Carlo e Federigo Borromeo.

Precedentemente aveva militato sotto le insegne del Re di Spagna, partecipando all’impresa di Lepanto nel 1571 e in particolare alla difesa di Sebenico; dalla carriera militare passò alla congregazione dei Barnabiti e fu ordinato sacerdote il 22 maggio 1586 dallo stesso San Carlo Borromeo. Nella congregazione barnabita si distinse immediatamente per le sue virtù, tanto da essere nominato maestro dei novizi nello stesso anno della sua ordinazione.

Successivamente fu superiore generale della congregazione per cinque mandati. Particolarmente importante fu il suo sinodo, celebrato nel 1613, dove egli stesso tenne tre sermoni definiti dai contemporanei «bellissimi ed efficacissimi».

Il sinodo dovette affrontare, come urgenza del momento, la fatica di accogliere le indicazioni del concilio di Trento, tanto sulla liturgia quanto sulla catechesi, nonostante fossero ormai passati oltre quarant’anni dalla sua conclusione. A questo scopo chiama a presiedere il sinodo il suo confratello barnabita Bartolomeo Gavanto, che era il più preparato liturgista del momento, che nel 1628 compendierà la sua competenza liturgica nel “Commentaria in rubricas Missalis et Breviarii Romani sive Thesaurus SS. Rituum”, opera fondamentale che illuminerà gli studi e la prassi liturgica fino al XIX secolo. Contestualmente mons. Dossena pubblicherà un catechismo per la diocesi, con la prescrizione che venisse usato da tutti i parroci. Alla morte del Dossena, papa Paolo V nomina vescovo di Tortona il nobile milanese Paolo Arese o Aresi, a seconda della traduzione dal latino del suo cognome “Aresius”, religioso teatino e già famoso per le sue doti di predicatore in tutta la penisola.

Amico ed estimatore di Federigo Borromeo, di cui nel 1631 sarà chiamato a tessere le lodi nella “Laudatio funebris”, ne seguì l’esempio tanto nella vita santa e nella cura del gregge, quanto nell’amore per la cultura e l’arte.

Tanto di lui come del Dossena si può dire che incarnano alla perfezione “l’uomo barocco”, pervaso dalla forte spiritualità tridentina, asceta nella vita privata, ardente nella predicazione, conscio di una missione anche culturale che si realizza nella letteratura e nell’arte, di cui diventa importante committente. Angelo della città durante la peste manzoniana del 1630-31 e poi durante i due terribili assedi che Tortona dovette subire nella guerra dei Trent’anni, nel 1642 ad opera dei francesi  e l’anno successivo ad opera degli spagnoli, il vescovo Arese si prodigò per sollevare la popolazione stremata dalla pestilenza allo stesso modo che fece in Milano il cardinal Borromeo; inoltre preservò la città dagli orrori del saccheggio, mediando con i comandanti degli eserciti in guerra. Nel 1623 indisse un nuovo sinodo, il primo dei tre del suo episcopato, dai cui atti si evince che diverse direttive tridentine erano ancora disattese come la residenzialità dei parroci e la predicazione festiva.

Lo zelo per la predicazione, anzi un’autentica passione per l’annuncio del vangelo, caratterizza tutta la vita dell’Arese, sia prima che dopo l’elezione a vescovo.

Predicatore famoso e ricercato tenne sermoni nelle principali città italiane in occasione di eventi straordinari.

Alcuni di questi evidenziano la sua statura oratoria: 4 novembre 1610 nel duomo di Milano in occasione della canonizzazione di San Carlo Borromeo, avvenuta il giorno precedente; 1611 nel duomo di Genova in occasione dell’incoronazione del doge Alessandro Longo Giustiniani; il 4 novembre 1617, sempre celebrando San Carlo, in Santa Maria Maggiore a Roma alla presenza di Paolo V; fino alla già citata “laudatio funebris” per Federigo Borromeo.

La predicazione del vescovo Arese era sostenuta da un’ampia cultura e da una felice oratoria, tipica della cultura barocca, di cui egli fu importante protagonista al punto di essere definito «Mecenate dei letterati del suo tempo» e appellato «Trismegisto» cioè insieme oratore, filosofo e teologo.

Era membro dell’Accademia dei Filarmonici di Verona e di quella degli Affidati di Pavia e favorì in Tortona l’Accademia dei Rinnovati. Diede alle stampe alcune opere di oratoria, tra cui la più celebre è “Delle Sacre Imprese”, dove dimostra anche una fine vena poetica.

Le “Imprese” sono “esempi” e “immagini” prese dalla realtà creata e mostrate come simboli e allegorie delle realtà divine e delle verità della fede, attraverso finissimi ragionamenti e immagini che catturano l’ascoltatore, in una delle più originali ed estroverse opere dell’oratoria barocca.

Alla sua morte, il 13 giugno 1644, il popolo tortonese lo venerò immediatamente come santo e le cronache narrano che la guarnigione del castello dovette faticare non poco a contenere la folla, accorsa da fuori città per onorarne la salma.

Nell’archivio storico diocesano un faldone contiene 178 deposizioni di grazie e guarigioni avvenute per l’intercessione dell’Arese, raccolte dal suo successore Carlo Settala in vista di un processo di beatificazione che egli avrebbe voluto aprire.

Maurizio Ceriani

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