I nostri vescovi nati tortonesi

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Aspettando l’ingresso dell’ultimo successore di san Marziano, rileggiamo insieme un nuovo capitolo della storia della Diocesi

Sant’Innocenzo

Innocenzo era originario della Val Grue, dove sorgeva “villa Floriaca”, residenza della famiglia senatoria dei Quinzio, che fu luogo di rifugio e di preghiera per i cristiani tortonesi di fine III secolo e inizio IV; successivamente si trasformò in luogo di martirio durante la persecuzione di Diocleziano. Oggi una graziosa chiesa, edificata nella prima metà del secolo scorso da padre Pio Mogni nei pressi di Rocca Grue, arricchisce il luogo che la tradizione ha custodito come casa natale del santo.

I vescovi dell’epoca longobarda

Pur non avendo notizie certe sul luogo di nascita dei vescovi del periodo longobardo (VI-VIII secolo), riscontriamo due costanti: nomi latini dei presuli e una politica filo romana apertamente ostile ai sovrani longobardi. Emblematico è il caso del vescovo Giuseppe, presente al sinodo romano del 769. Siccome Papa Stefano III aveva inviato oltralpe il secundicerius Sergio per chiedere a re Pipino l’invio di una qualificata rappresentanza dell’episcopato franco, la presenza del vescovo tortonese Giuseppe, suddito longobardo, è un elemento molto importante per comprendere la secolare politica religiosa romana della sede tortonese e, di conseguenza nel secolo VIII, filo franca. Tutto ciò fa supporre che alcuni dei presuli di quel periodo fossero espressione delle famiglie tortonesi di matrice latina.

Giovanni e Teodolfo

Giovanni III (820-824) e Teodolfo (dopo l’848 fino all’878 stando all’Ughelli) furono zio e nipote, siccome il secondo chiama Giovanni “avunculus” cioè zio, e dice che “fu vescovo di questa chiesa che ora io presiedo”.

Entrambi sembrerebbero essere tortonesi di origine, stando all’atto di donazione di un prezioso manoscritto che Teodolfo fa, attraverso il diacono e primicerio Sumberto, al monastero di san Colombano di Bobbio. Il volume, uscito dallo scrittorio della cattedrale di Tortona e ora conservato nella Biblioteca Vaticana, riporta il Liber expositionis Claudii Taurinensis in epistulas ad Corinthios.

Al tempo dei vescovi-conti

Pietro II (1120-1134) fu senz’ombra di dubbio tortonese. Succedette al fratello Lombardo che fu vescovo e conte della città dal 1105 al 1111; unico caso di due fratelli vescovi della sede tortonese. Abbiamo un documento del 21 febbraio 1183 nel quale Otto Baldo de Terdona, in una deposizione fatta in Voghera, appella il vescovo Pietro come proprio fratello.

La cronotassi tradizionale fissa nel 1120 l’inizio dell’episcopato di Pietro II, ma alcuni documenti ne attestano la sua attività episcopale fin dal 1114; da nove anni, infatti, era eletto e insediato, ma non ancora consacrato. In altri termini sedeva sulla cattedra tortonese un vescovo che non aveva ancora ricevuto l’ordinazione episcopale. Pietro II chiese pertanto al Papa Callisto II, che nella primavera del 1120 era in Tortona proveniente dalla Francia, di procedere alla sua ordinazione, che avvenne il giorno 11 aprile del 1120 nell’abbazia di san Marziano, per mano dell’arcivescovo di Milano Giordano, presente il Pontefice.

Altro vescovo tortonese di origine nel secolo XII fu Hugo o Ugone (1183-1193).

Era arcidiacono del capitolo della cattedrale e dal 1176 amministratore dell’economia della diocesi con il vescovo Oberto (1153-1180) di cui fu il successore.

Busseti, Calcinara e Rampini

Nei secoli XIII e XIV ressero la diocesi alcuni vescovi, provenienti dalle più prestigiose famiglie della nobiltà tortonese. Pietro Busseti, prevosto della cattedrale, sedette sulla cattedra episcopale col nome di Pietro III dal 1220/1 al 1236. Suo nipote, Melchiorre Busseti, precedentemente canonico della cattedrale, reggerà la diocesi dal 1274 al 1284. Il suo episcopato è contrassegnato da una delle fasi più aspre della contesa tra guelfi e ghibellini, che coinvolge il vescovo stesso, chiamato nel 1284 a difendere in armi Tortona guelfa dall’attacco delle truppe ghibelline di Guglielmo VII marchese di Monferrato. In quel frangente accade uno degli episodi più drammatici nella storia dell’episcopato tortonese: il vescovo Melchiorre fu assassinato a tradimento tra Serravalle e Sorli da esponenti della famiglia Montemerlo, di chiara fede ghibellina. A Melchiorre Busseti succedettero altri due vescovi di nascita tortonese, appartenenti alla nobile e antica famiglia dei Calcinara, che aveva dato numerosi consoli alla città: Giacomo II (1284/95-1313/16) e Manfredo (1313/16-1319). Giacomo II era benedettino, abate di santo Stefano di Tortona, il fiorente monastero fondato da Pietro I il Grande. La data della sua elezione a vescovo della città è controversa ed è collocata da diversi autori tra il 1284 e il 1295. Una bolla di Bonifacio VIII del 2 ottobre 1295 lo conferma nella carica di vescovo di Tortona.

Il suo episcopato è costellato di atti coraggiosi di governo per riportare l’ordine compromesso dalle lotte tra guelfi e ghibellini. Gli succede il congiunto Manfredo Calcinara, che alcuni storici vorrebbero addirittura fratello di Giacomo II, ma la notizia finora non è suffragata da alcuna documentazione.

Chiude la serie dei vescovi provenienti dalla nobiltà tortonese, Enrico Rampini (1413-1436), dei signori di sant’Alosio. Nominato da Gregorio XII il 10 maggio 1413 a soli 25 anni di età, su pressione di Filippo Maria Visconti, di cui il padre Marziano era stato precettore, Enrico si rivelò un ottimo vescovo e il suo episcopato fu caratterizzato da un’intensa attività pastorale, persino precorritrice dei tempi. A lui si deve quello che può essere considerato il primo sinodo diocesano, celebrato nel 1435 nella chiesa conventuale di san Domenico. Dopo 23 anni di episcopato tortonese, Eugenio IV lo trasferisce prima a Pavia e poi a Milano, creandolo cardinale del titolo di san Clemente.

Carlo Francesco Carnevale

Fu l’ultimo tortonese a sedere sulla cattedra di san Marziano, dal 1818 al 1831. Di lui già ampiamente si scrisse nella ricorrenza dei duecento anni dalla sua elezione. La famiglia Carnevale appartiene all’antica nobiltà tortonese e il suo legame con la città fu costante e generoso nei secoli. Lanfranco fu console e difensore di Tortona contro il Barbarossa nell’assedio del 1155.

Durante la pestilenza e la successiva carestia del 1329, Fiorenza organizzò un gruppo di nobildonne insieme alle quali provvide a sfamare per tre mesi cinquecento famiglie cittadine. Pietro Antonio, luogotenente del governatore e referendario della città, evitò che le soldataglie spagnole, ammutinatesi in Piemonte per la mancanza del soldo, saccheggiassero il contado di Tortona nel luglio 1537, provvedendo personalmente alle esigenze di quel drammatico momento, mentre il fratello Giorgio, con la spada in pugno, difendeva la porta di santo Stefano, respingendo le bande dei disertori. Ritiratosi dalla vita politica, spese gli ultimi anni della sua esistenza dedicandosi alle opere pie, in particolare all’ospedale di sant’Antonio. Dionigi si adoperò per evitare ulteriori danni alla città contesa e ripetutamente assediata dagli eserciti spagnolo e austro-sardo del 1745.

Innumerevoli le donazioni, i mecenatismi e le opere di carità sostenute dalla famiglia Carnevale in nove secoli di operosa presenza tortonese.

In questo solco si pose anche l’opera di Carlo Francesco, all’indomani della bufera napoleonica, nell’organizzazione della ripristinata e ampliata diocesi di Tortona.

Maurizio Ceriani

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