Il figlio dell’altra
di MARIA PIA E GIANNI MUSSINI
Un film uscito una decina di anni fa, Il figlio dell’altra, ci appare intonatissimo all’attuale tragedia che colpisce la Terrasanta. Parla di Joseph, un ragazzo israeliano di famiglia borghese – padre ufficiale dell’esercito e madre medico in ospedale – che in occasione della visita di leva, facendo l’esame del sangue, scopre che il suo gruppo sanguigno non è compatibile con quello dei genitori. Indaga subito e non ci mette molto a scoprire di essere stato scambiato per errore, alla nascita, con Yacine, un bambino palestinese dei territori occupati da Israele. Così come non ci mette molto a stabilire un contatto tra le due famiglie, sconvolte dalla scoperta. L’animo umano è però capace di tutto, anche di buon senso e generosità. Così le due famiglie cercano di trovare qualche punto d’incontro. Si vedono, e a dimostrarsi disponibili sono soprattutto i due ragazzi e le due madri, le quali si sentiranno madri di tutt’e due i figli. I padri invece si fanno prendere qualche volta dalle ragioni irragionevoli dell’ostilità politica, che alimenta incomprensione e rancore. Ma gli incontri proseguono sino a quando i due giovani decidono di scambiarsi le famiglie, vivendo ciascuno in quella dell’altro. Così, quando tornano ognuno a casa sua, niente è più come prima: entrambi hanno veduto e toccato con mano che siamo veramente tutti figli di Dio e che è possibile l’armonia tra popoli diversi. Diretto con tocco delicato e senza retorica da Lorraine Lévy, francese di origine ebraica, il film può forse apparire buonista, specie in questi giorni di fuoco scatenati dalla furia omicida di Hamas; ma in realtà fornisce una soluzione praticabile e tutto sommato semplice a un dramma davvero complicatissimo. La soluzione è questa: ogni essere umano è sacro e come tale meritevole non solo di “tolleranza” ma anche e soprattutto di “rispetto”. Se questo è vero, appare evidente l’insensatezza di quella guerra, così come l’urgenza di giungere a una soluzione che riconosca i diritti dei due popoli, magari distribuiti in due Stati. E urgentissimo appare che le Nazioni Unite facciano veramente la loro parte. Intanto la strada indicata dal nostro film è quella semplice – realistica e tutt’altro che ingenua – dell’amore, che permette la concreta soluzione di un problema in apparenza insolubile. Nota con finezza Marzia Gandolfi che “l’Ebreo cresciuto da palestinesi e il palestinese cresciuto da israeliani”, pur separati da “un confine odioso, alimentato dalla paranoia e dai pregiudizi che ogni divisione, muro o recinto porta con sé”, riescono a uscire vittoriosamente dalla loro condizione tanto paradossale quanto dolorosa. Una menzione particolare alle attrici che interpretano le due madri: la francese Emmanuelle Devos e la palestinese Areen Omari, capaci di donare ai rispettivi personaggi un vero cuore di mamma.
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