Il frammento della “Santa Croce” né bruciò né fece fumo
La festa patronale di Tortona (che quest’anno cade il 9 maggio) è legata al culto per l’insigne reliquia conservata in cattedrale. Oggetto di un miracolo avvenuto il 28 maggio 1717
di don Maurizio Ceriani
La festa patronale della città di Tortona, “Santa Croce”, è legata al culto millenario tributato dai Tortonesi ad un’insigne reliquia della Vera Croce presente in cattedrale, su cui il Signore offrì se stesso per la salvezza dell’umanità, come Agnello che toglie i peccati del mondo. La presenza di questo frammento, di notevoli dimensioni rispetto alle normali reliquie della Croce, si perde nella storia, relativamente al momento in cui giunse nella nostra città; nella percezione collettiva dei Tortonesi essa è “da sempre” parte integrante del substrato cittadino, come uno dei segni identitari della civitas dertonina. La tradizione vuole che il frammento fosse stato donato dall’imperatore Costantino al vescovo Sant’Innocenzo; la più antica menzione storica invece risale al XIII secolo, quando nei libri corali conservati in cattedrale si attesta la presenza di un’insigne reliquia della Santa Croce, particolarmente cara alla Città di Tortona. La celebrazione liturgica, collocata nel lunedì che segue la seconda domenica di maggio, ricalca la festa del 3 di maggio, giorno in cui si ricorda l’inventio, cioè il ritrovamento della Santa Croce a Gerusalemme, ad opera dell’imperatrice Sant’Elena nel 327-28, secondo la data tradizionale.
Il documento di “autentica” del vescovo Andujar
Il rigore austero e la sapiente metodicità del vescovo Ludovico de Andujar (1743-1782) hanno lasciato una mole enorme di documenti, vera manna per chiunque si approcci alla storia della diocesi di Tortona. Uno di questi ricostruisce la vicenda della reliquia della Santa Croce. Si tratta dell’“Autentica” della reliquia cioè del documento ufficiale col quale l’autorità ecclesiastica convalida l’autenticità di una reliquia e ne permette la venerazione. Il nostro scritto reca la data del 31 marzo 1780 ed è ricco di interessanti notizie. Innanzi tutto riporta che l’artistico reliquario ligneo tuttora presente, a forma di croce, intagliato e dorato coi simboli della passione, fu realizzato per volontà del vescovo Carlo Settala (1653-1682) e fu un dono del vescovo alla chiesa cattedrale, dal momento che fu “propriis expensis facta”, cioè a sue spese. Sappiamo da altre fonti che fu realizzato nel 1669. Il documento di Andujar ci fa poi sapere che i frammenti della Croce e le Spine della corona di Cristo, collocate nel reliquiario, furono traslate dall’antica cattedrale alla nuova nel 1586, come testimonia un documento del 1610. Sono anche ricordate le celebrazioni legate alla Santa Croce e le forme di culto e devozione presenti “ad immemorabili”: le processioni del venerdì santo e della festa di maggio, allora celebrata il giorno 3 con successivo triduo, le pubbliche esposizioni straordinarie in occasione di piogge incessanti o siccità, la venerazione quotidiana dei Tortonesi anche quando la Reliquia è “sub clavibus” cioè riposta e chiusa nella teca del proprio altare. Viene anche descritto con minuzia il reliquiario e le reliquie contenute in cinque teche inserite in modo artistico al centro e alle quattro estremità della croce processionale. Al centro i frammenti più grandi della Croce, composti in forma di “croce patriarcale”, cioè con due barre orizzontali di diverse misure sovrapposte, all’interno di un antico reliquiario in argento, successivamente impreziosito tutto attorno da decori in argento filigranato. Nelle due teche poste alle estremità del braccio verticale sono invece collocate due Spine della Corona del Signore, in quella superiore, e un frammento della Croce, in quella inferiore; tutti poggiano su piccoli vasi d’argento. Alle estremità del braccio orizzontale troviamo altri due frammenti della Croce, quello a destra (a sinistra di chi guarda) fu oggetto di un miracolo documentato e approvato dal vescovo Giulio Resta (1701-1743) avvenuto in città il 28 maggio 1717; bisogna quindi dedurre un ulteriore inserimento dopo quella data.
Il miracolo del 1717
Nell’archivio storico della diocesi è custodito abbondante materiale su questo episodio prodigioso avvenuto nella notte del 28 maggio 1717, davanti a diversi testimoni. Di particolare interesse la deposizione giurata verbalizzata il giorno successivo dal cancelliere vescovile. Depongono come testimoni del fatto Carlo Camillo Cravenna, arciprete di Novi, padre Marco Teodoro Gaballio, priore del convento agostiniano della SS. Trinità di Tortona ed altri frati del medesimo convento. Il fatto avviene alle due di notte del 28 maggio; il computo del tempo va fatto secondo la maniera di allora e sicuramente non ci troviamo nel cuore della notte, ma alla seconda ora dopo il tramonto, circa le nostre 22, altrimenti non si capirebbe la dinamica dell’episodio. Il padre priore sta discorrendo con l’arciprete di Novi di un reliquiario argenteo con all’interno un frammento della Croce, nascosto a motivo della guerra (è la guerra di successione spagnola che infiammò l’Europa dal 1700 al 1714, durante la quale Tortona fu pesantemente coinvolta nell’autunno 1706, quando avvenne anche l’eccidio della guarnigione spagnola del castello ad opera degli austro-piemontesi). Gli Agostiniani desideravano nuovamente esporla alla venerazione, ma non riuscivano a trovare il documento che ne comprovasse l’autenticità. Essendo l’arciprete di Novi protonotario apostolico, viene richiesto dai frati che, davanti a lui, si possano rompere i sigilli del reliquiario e aprirlo, nella segreta speranza che all’interno del reliquario stesso si potesse rinvenire il documento di autenticità come spesso avveniva; nel qual caso con la sua autorità di protonotario e con la presenza dei frati come testimoni si sarebbe potuto procedere alla stesura di un nuovo documento e all’apposizione di nuovi sigilli. Erano presenti padre Giantommaso Cravezza, padre Baciliere Grugnetti e Padre Giuseppe Leone. Dovendo rimuovere una saldatura in stagno, viene portato un braciere con dei carboni ardenti per arroventare un ferro. Aperto il reliquiario, si rinvengono alcuni frammenti di legno con un cartiglio che li dice essere parte della Santa Croce, ma nessun documento comprovante. Il pezzo più grande era lungo circa un palmo con altri frammenti più piccoli. L’arciprete Cravenna chiede ai presenti di raccogliersi in preghiera, quindi prende un paio di forbici e pone sui carboni ardenti un frammento ligneo di circa “mezza onghia”. Il legno resta sui carboni per “lo spazio in cui si sarebbe due volte recitata l’Ave Maria” senza incendiarsi; l’operazione fu ripetuta una seconda volta e il frammento né bruciò né fece fumo. Riposto su un foglio di carta bianca appariva illeso; per ulteriore prova fu spezzato in due e apparve vero legno con colore e qualità inalterate. All’alba del giorno successivo venne informato il vescovo Giulio Resta e i testimoni deposero davanti al cancelliere. Il frammento posto sui carboni venne inserito nel reliquiario della cattedrale, mentre le altre parti rimasero agli Agostiniani all’interno del prezioso reliquario, che la tradizione voleva fosse un dono di Cristierna di Danimarca e di cui si persero le tracce dopo la soppressione del convento nel 1802 ad opera di Napoleone.