Il “Notturno” di Rosi
Gianfranco Rosi ci riprova a raccontare il nostro presente nella forma del documentario, focalizzandosi su periferie e frontiere esistenziali. Prima con “Sacro GRA” (Leone d’oro a Venezia 2013), mostrando la popolazione che vive ai margini di Roma lungo l’anello autostradale, poi con “Fuocoammare” (Orso d’oro al Festival del Cinema di Berlino 2016), dando voce ai tanti disperati cercatori di futuro che si avventurano lungo le acque del Mediterraneo. Con “Notturno”, invece, mostra la realtà nei territori vessati dalla guerra, tra le forze dell’Isis e quelle di resistenza. L’obiettivo è narrare una quotidianità dove l’umanità si risveglia ogni giorno colpita da violenza e terrorismo, procedendo nella ricostruzione filmica per suggestioni, suoni, ambienti. In sostanza lasciando spazio alla poesia. Significative le sequenze notturne, con pochissime luci e figure umane silenziose mentre sullo sfondo si colgono i rumori degli spari (in una sequenza il rumore si confonde con una ragazza che fuma, idea forte) e si scorge il cielo illuminato di rosso. Lo sguardo è su famiglie, pescatori, detenuti o madri in lutto per i figli strappati via dalle ripetute atrocità.
Il regista svela le ferite del presente con uno sguardo profondamente spirituale, dando parola e voce agli ultimi. Ricerca la verità, presentandola senza filtri. “Notturno”, dunque, si inserisce nel cinema di impegno civile. Bellissimi i quadri visivi che compone, soprattutto i lamenti delle madri, i dimenticati negli ospedali oppure le tracce di futuro negli occhi dei bambini, traumatizzati dalla barbarie ma capaci di ricominciare. Punto debole dell’opera è una dilatazione descritti-va che sottrae energia al racconto documentaristico vero e proprio.
Troppa semplicità e didascalia quando ci si concentra sulle vicende umane durante le ore diurne: il film appare molto costruito. Tutt’altra storia nelle ore notturne: lì si procede per sensazioni, immagini, colori, stati emotivi.