Il re è nudo!
di Maria Pia e Gianni Mussini
L’altra settimana siamo stati a Monaco di Baviera per dare una mano a nostra figlia Cecilia, ma soprattutto per trascorrere qualche giorno con la nipotina Miriam, che si avvia a compiere tre anni, il primo di aprile.
Ne abbiamo approfittato per portarle un costume di carnevale double-face: si tratta di un mantello “magico” che da un lato pare quello di un cavaliere del Medio Evo, dall’altro raffigura un (simpatico) drago con tanto di criniera tridimensionale. Come a dire, san Giorgio e il Drago in un unico indumento… Naturalmente abbiamo portato anche un po’ di coriandoli e di stelle filanti, oltre a qualche “scherzo di carnevale” che del resto Gianni, il vero giocherellone di famiglia, ha spesso usato anche con i figli piccoli: il fiorellino che spruzza acqua, la scatola metallica delle caramelle che si apre a molla facendo schizzare una specie di grosso bruco verde, il “chiodo nel dito”, ecc.
Ma, scherzi a parte, il carnevale è una cosa che non andrebbe troppo banalizzata. Il grande esponente del formalismo russo novecentesco Michail Bachtin ha illustrato, nel solco di alcune intuizioni pirandelliane, il concetto di “carnevalizzazione”: ovvero quel processo di rovesciamento parodico del mondo che ne rivela, attraverso il gioco e lo scherzo, verità altrimenti incomunicabili.
Pensate alla figura del fool, il matto shakespeariano, a cui l’autore dà voce volentieri per dire la sua. Ma anche a personaggi come il vecchio Totò oppure Woodie Allen o magari Benigni e Dario Fo, che appartengono a pieno titolo alla categoria dei fool, evidenziando con la loro comicità i nostri tic, le debolezze, la nostra vanagloria…
Per tornare a Miriam, quando eravamo da lei abbiamo preso in mano un’edizione illustrata delle fiabe di Andersen, rileggendo tra il resto la storia di quel re credulone che si fa ingannare da due finti sarti, i quali lo persuadono a indossare un abito fatto di una stoffa sottile e finissima: “Ha il dono – gli dicono – di essere invisibile per le persone stupide”.
Il re si convince a indossarlo, ritenendo di poter così smascherare tutti gli stupidi della corte, ma anche compiaciuto dalle sperticate lodi che riceve: i cortigiani infatti gli decantano in ogni modo la raffinatezza e i colori (in realtà inesistenti) del nuovo abito. Sino a quando un bambino (che svolge di fatto il ruolo del fool), con benedetto candore esclama: “Il re è nudo!”. A quel punto anche la gente prende atto della realtà. Ma il re, ipocrita e vanitoso, preferisce continuare nella finzione indossando il suo vestito fatto di niente, mentre i ciambellani lo adulano reggendogli uno strascico che non c’è.
Come a dire che il “comico”, come il carnevale, è una cosa terribilmente seria; e che grande è la responsabilità dei comici di professione, che non dovrebbero mai ridursi – come spesso succede – a buffoni insipidi e sguaiati.
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