Il telefono piange e divide

Visualizzazioni: 243

Di Arianna Ferrari e Andrea Rovati

LEI

Essendo nata nel secolo scorso il mio approccio alla tecnologia è stato graduale e– per scelta o riluttanza – mai completo. All’oggi mi rendo conto che la cosa più personale che abbiamo addosso non è l’intimo bensì il cellulare. In esso ci sono tutti i contatti telefonici, e-mail, appunti, liste della spesa, applicazioni che ti dicono quanto cammini, ti idrati, cosa mangi, il meteo previsto e chi più ne ha più ne metta. Senza telefono ci sentiamo perduti. Il cellulare è forse l’unica cosa per la quale si torna a casa quando lo si dimentica. Patente, documenti… be’ lì speri solo che non ti fermino polizia, carabinieri o guardia di finanza proprio quel giorno. Il senso di smarrimento però è comprensibile. Se oggi ti capitasse un problema lungo la strada ma chi le troverebbe più le cabine del telefono o il modo per chiedere soccorso? Ma quanti di noi sarebbero in grado di ricordare ancora i numeri a memoria? Tuttavia per altri aspetti è una schiavitù. Rimpiango i tempi del telefono fisso in cui ti potevi concedere una gita e scoprire solo al ritorno se nel frattempo era successo qualcosa, quando si potevano scindere vita pubblica e privata perché prima di chiamare ti chiedevi se fosse l’ora consona per farlo: dovevi dire chi eri, perché telefonavi e magari scusarti per il disturbo. Ora invece in ogni ora del giorno e della notte messaggi, mail e chiamate. Il telefono nacque per avvicinare chi era lontano, ora divide le persone nella stessa stanza.

arifer.77@libero.it

LUI

Probabilmente Antonio Meucci non aveva immaginato tutto questo. So solo che alla mia nascita ero già un suddito del suo regno e Piange il telefonodi Domenico Modugno è una delle prime canzoni che ricordo; e pazienza per la trovata un po’ furbesca del dialogo con la bambina che in realtà pare un mezzo per arrivare alla mamma che non ne vuole sapere: in realtà il vero protagonista della canzone è lui, il telefono, mica il patchwork padre/madre/figlia che allora non capivo. La canzone è del ’75 (anche se in realtà è la versione italiana di una canzone francese dell’anno prima: allora si usava così) ma oggi non è cambiato molto, salvo che lui è diventato incredibilmente più sofisticato e pervasivo (e che oggi ci sono genitore A/genitore B/figl*, che invece ahimè capisco fin troppo bene). Per fortuna la mia formazione non è passata solo dalla Rai Tivù: c’è stato tanto altro, ad esempio c’è stato Tolkien la cui frequentazione (che continua tutt’oggi) mi ha reso forse (spero) un po’ più saggio (oltre che irreversibilmente nerd). Il telefono non è l’Unico Anello, intrinsecamente malvagio e con il quale ogni compromesso è vano come Isildur intuisce troppo tardi pagando con la morte la sua sciagurata illusione. Però è come il Palantìr, una Pietra Veggente di Númenor, utile e probabilmente indispensabile ma estremamente pericoloso perché potentissimo e suadente. Gandalf ammonisce severamente chi ne viene in possesso e gli insegnamenti del vecchio stregone non hanno perso di attualità.

andrea.rovati.broni@gmail.com

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *