Il Titanic affonda e noi balliamo

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Cambiamento climatico. L’Osservatorio di Pavia, per Greenpeace, registra le nostre reazioni alle tragedie ambientali: non ci rendiamo conto della gravità della situazione

di PIERANGELA FIORANI

La Terra, il pianeta su cui viviamo, ha una scadenza? Succederà anche al nostro mondo di andare a male come un vasetto di yogurt? Avrà un tempo un po’ più lungo, come le scatolette di tonno? O non scadrà mai come succede – a quel che dicono – al cioccolato fondente? Alzi la mano chi non se lo chiede difronte ai disastri climatici che affliggono territori, a differenza del passato, sempre più vicini. Nostri. Ce lo siamo domandati in realtà con sempre maggiore apprensione guardando compulsivamente le previsioni del tempo nell’estate 2023 e tirando un timido, provvisorio sospiro di sollievo quando raffiche di vento mai registrate sradicavano alberi e scoperchiavano tetti abbastanza lontani da casa nostra. Non sono mancate le cronache, spesso ansiose e ansiogene, in tv, come sulla carta stampata, abbiamo visto circolare insistentemente video e immagini sui social: racconti in diretta con tanto di esclamazioni atterrite che ci hanno trasmesso comunque preoccupazione. Sono bastati i fatti drammatici degli ultimi mesi per convincerci che non c’è più tempo da perdere? E che la questione vera è se ci stiamo impegnando come comunità e come individui perché le cose possano migliorare? Se ci stiamo dando da fare per rallentare il più possibile e magari fermare fenomeni che – se non cambiano le condizioni – sono solo destinati a peggiorare? Una cosa è accaduta: abbiamo introdotto quasi con rassegnazione sempre nuove parole nel vocabolario anche quotidiano che riguarda l’argomento clima. Così non ci sono più i temporali estivi nel nostro parlare ma solo “bombe d’acqua”. Siamo diventati meteorologi esperti di “clima impazzito” e tendiamo a non ascoltare i tecnici titolati che ci spiegano le ragioni reali di ciò che vediamo accadere intorno a noi. Inermi. Impotenti. Incoscienti, per esempio, rispetto al fatto che una grandinata e un acquazzone fanno evidentemente più danni in zone fortemente abitate, dove per di più abbiamo imprigionato fiumi e torrenti sotterrandoli o dove si è costruito senza lasciar spazio al naturale correre delle acque. Loro – i veri esperti di clima e di ambiente – ci ripetono fino alla noia, ma evidentemente non abbastanza, quanti danni sempre più irreversibili fa l’uso dei combustibili fossili e quanto ci salverebbe invece l’impiego virtuoso dell’energia solare ed eolica. Ci dicono che la terra ha la febbre alta e rischia di incendiarsi sempre di più, ma dopo l’ennesimo rogo preferiamo guardare altrove. Chi dovrebbe aiutarci a costruire e rafforzare una vera consapevolezza? I politici? I mezzi di comunicazione? Tv e giornali raccontano disastri e tragedie causati dai violenti rovesci del clima. Ma come lo fanno? Lo sta verificando da più di un anno l’Osservatorio di Pavia su incarico di Greenpeace. Sotto la lente dell’Osservatorio c’è anche il più recente strumento di Instagram. E i risultati – già pubblicizzati da un rapporto Greenpeace – dicono che in verità la politica italiana parla poco della crisi climatica. I dati dell’Osservatorio confermano che in generale solo episodicamente si discute dell’argomento. Che di eventi estremi si dice quando accadono e non sempre associandoli alla questione cruciale del cambiamento climatico. I Tg approfondiscono un po’ di più rispetto ai giornali. Sempre troppo poco evidentemente per cambiare davvero il sentire collettivo, sociale. Sui media – sono ancora dati ricavati dal monitoraggio dell’Osservatorio – risultano presenti quelle che si chiamano “narrative di resistenza”, si dà conto cioè di comitati e proteste che all’insegna dello slogan “non vicino a casa nostra” respingono progetti di impianti fotovoltaici, piuttosto che eolici. Il passato e il presente dei disastri sono ancora troppo facilmente e velocemente dimenticati tanto che risulta difficile ragionare concretamente su un futuro nei confronti del quale preferiamo chiudere gli occhi. Rimandare. E sperare egoisticamente che l’irreparabile si tenga abbastanza lontano da noi. Ma anche i disastri del clima si sono globalizzati. Non escludono, non dimenticano nessuno, nessun luogo. Chi non si stanca di metterci in guardia e coglie ogni occasione per dirci che siamo – tutti – con i piedi a un passo dal precipizio è Papa Francesco. Ha messo nero su bianco il suo grido d’allarme per la difesa della nostra Terra nella molto lodata ma tuttora inascoltata enciclica Laudato si’. Era il 2015, non un secolo fa. E, fatto abbastanza inedito, il Pontefice giudica – qui, adesso e con grande lungimiranza – che gli tocca aggiornare quella lettera di denuncia e di pressante invito per l’intera umanità. Sarà l’occasione per rinnovare l’allarme, forse per dirci che, davvero, non abbiamo più molto tempo? Lo scopriremo presto. E noi? Per noi è ora di far tacere la musica distraente che continua a farci ballare sul Titanic. Per noi è tempo di capire che se il nostro mondo avrà uno stravolgimento totale, sarà il genere umano ad affondare, non il pianeta Terra che rivivrà altre vite. Stavolta senza di noi.

pierangelafiorani@gmail.com

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