Il Tribunale diocesano giudica in base alle legge della Chiesa
Pochi giorni dopo l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario della Regione Ecclesiastica ligure, don Gino Bava, vicario giudiziale della Diocesi, spiega quali sono gli ambiti di intervento e l’iter delle cause e presenta i suoi collaboratori
TORTONA – Sabato 3 febbraio, a Genova, nel salone dell’Episcopio si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Ligure, al quale fa riferimento la Diocesi di Tortona. A pochi giorni di distanza abbiamo rivolto alcune domande a don Gino Bava, vicario giudiziale della nostra Diocesi, sull’attività del Tribunale.
Qual è l’attività svolta dal Tribunale diocesano?
«Per rispondere a questa domanda è necessario fare una piccola premessa: il potere di giudicare, che spetta nativamente alla Chiesa relativamente ai suoi figli, appartiene ai vescovi. Diciamo che ha origine dalla potestà derivante dall’ordinazione episcopale che, una volta delimitata nella sua capacità di intervento nell’ambito di una Diocesi, il vescovo esercita direttamente o per mezzo di collaboratori a ciò deputati. Quindi l’attività del Tribunale consiste nel trattare le cause che il vescovo gli assegna perché siano giudicate in conformità alla legge della Chiesa».
In che cosa consiste l’incarico del vicario giudiziale in Diocesi e chi sono i suoi collaboratori?
«Il vescovo ha per diritto divino tre poteri: quello di insegnare ai suoi fedeli, quello di santificare le anime e quello di reggere la Diocesi che gli è stata affidata. Quest’ultimo potere ha a sua volta una triplice ripartizione: il potere di legiferare, cosa che normalmente fa in proprio, quello di amministrare, cosa che può condividere “delegando” in modo stabile al vicario generale e ai vicari episcopali diversi ambiti di competenza amministrativa e quello di giudicare che, ordinariamente, affida al vicario giudiziale, ruolo che nella nostra Diocesi è rivestito da più di vent’anni dal sottoscritto. Si chiama vicario perché al pari del vicario generale, seppur in ambiti diversi, svolge una potestà ordinaria vicaria, vale a dire una potestà ordinariamente assegnata al suo ufficio, ma esercitata in nome e per conto di chi quel potere lo ha di suo, cioè il vescovo. Spero di essere riuscito a chiarire un po’ queste “tecnicalità” giuridiche che comunque in primo luogo esprimono una forma importante di comunione tra i presbiteri e il vescovo al servizio del popolo di Dio. I miei collaboratori sono mons. Gianfranco Maggi che riveste il ruolo di Difensore del Vincolo e don Luigi Murru che svolge il ruolo di notaio. Approfitto di quest’occasione per ringraziarli. Il Difensore del Vincolo svolge un ruolo importante a presidio del valore del matrimonio e il Notaio svolge un prezioso lavoro pratico di verbalizzazione e archiviazione».
Quali sono gli ambiti di intervento?
«Un tribunale ecclesiastico, al pari di un tribunale civile, non interviene di sua iniziativa, bensì giudica le cause che gli sono presentate. Il nostro Tribunale diocesano ha una competenza canonica limitata da una Costituzione Apostolica di quasi novant’anni fa: si tratta della Costituzione Provida Mater che fu promulgata da papa Pio XI nel 1936. Con questa legge il Papa istituì in Italia i Tribunali ecclesiastici regionali mettendo insieme le forze dei vari tribunali diocesani per la trattazione delle cause matrimoniali. Oggi si vorrebbe superare tale concentrazione di forze e riportare in auge le competenze giudiziali dei singoli vescovi.
È un processo in corso di cui non si intravedono ancora le forme definitive; in ogni caso a tutt’oggi le cause matrimoniali sono ancora attribuite al Tribunale Ecclesiastico Ligure di cui faccio parte come giudice e con cui collaboro assiduamente da oltre vent’anni. Alla competenza del Tribunale ecclesiastico diocesano è rimasta ordinariamente l’istruzione delle rare cause per inconsumazione del matrimonio prima dell’invio a Roma della richiesta di scioglimento di vincolo e, attualmente, la trattazione delle cause cosiddette “breviori”, che sono molto poche perché necessitano del consenso di entrambe le parti, cosa ovviamente non molto frequente. Inoltre, e questa è la gran parte del nostro lavoro, collaboriamo a richiesta dei vari tribunali nell’audizione delle parti e dei testi che abitano nella nostra Diocesi e che non hanno modo né voglia e, talvolta, nemmeno la possibilità economica di fare un lungo viaggio per essere sentiti per esempio a Palermo o a Cagliari.
Ci tengo, inoltre, ad affermare e ricordare che il Tribunale diocesano non ha competenze solo matrimoniali quelle sono le principali – ma siamo competenti anche per altre questioni. A questo proposito ricordo a tutti gli enti ecclesiastici e ai loro rappresentanti questa possibilità, di rivolgersi cioè per avere giustizia al nostro Tribunale in caso di dispute tra di loro: si eviterebbero spiacevoli incomprensioni, lungaggini, spese e, talvolta, situazioni anche dolorose».
Come è possibile, per chi ne avesse necessità, contattare l’ufficio diocesano del Tribunale?
«A questo proposito una via praticabile per i fedeli in ricerca di chiarezza sulla propria, a volte, travagliata situazione matrimoniale è quella di rivolgersi tramite il proprio parroco direttamente al sottoscritto. In questi anni, discretamente, ho ricevuto molte persone che nutrivano dubbi sulla validità del proprio matrimonio, soprattutto alla luce del suo naufragio: devo dire che solo in rarissimi casi non ho potuto intravedere quello che normalmente si ricerca in questo primissimo colloquio, vale a dire il cosiddetto fumus boni iuris, cioè un qualche fondamento per avviare una causa in tal senso. Questo compito lo svolgo in maniera non istituzionale perché per quello c’è la presenza di un avvocato del Tribunale ecclesiastico ligure una volta al mese in Curia a Tortona (per informazioni al riguardo è necessario contattare la Cancelleria), ma su sollecitazione o indicazione dei parroci. È forse la parte del mio ministero sacerdotale più nascosta, ma a cui tengo molto, perché si tratta normalmente di persone che soffrono e che necessitano di un ascolto particolare, non solo “tecnico” ma, oserei dire, anche paterno. Spero e prego che lo possano trovare in me e nei miei confratelli e colleghi che nella Chiesa svolgono il mio stesso servizio di vicario giudiziale».
Marco Rezzani