In ricordo di Mons. Francesco Rossi

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Il 17 dicembre cadeva il 52° anniversario della sua morte. Di recente la Diocesi ha ricevuto in dono la sua mitra bianca. Fu vescovo di Tortona dal 1963 al 1969 quando si ritirò per il clamore suscitato dopo aver benedetto le nozze di un sacerdote “dispensato” dal ministero

DI DON FRANCESCO LAROCCA*

Due circostanze mi danno l’opportunità di scrivere queste parole in memoria di Mons. Francesco Rossi, vescovo di Tortona nei turbolenti anni ’60 dello scorso secolo.

La prima è rappresentata dall’anniversario della sua pasqua, avvenuta la sera del 17 dicembre 1972, dopo essere rientrato da un’intensa giornata di lavoro in un ospedale del Milanese.

La seconda mi è stata offerta dall’amico Walter Pestarino, che ha voluto far dono alla nostra Diocesi della mitra bianca che il vescovo ha utilizzato nel suo ministero pastorale. Walter, già noto agli ascoltatori di radio PNR per la rubrica Caleidoscopio e negli anni Sessanta studente del Seminario diocesano, ha custodito per tutti questi decenni il copricapo sacerdotale, unitamente ad altra documentazione.

Il motivo di questo suo legame è ben specificato dalle parole dello stesso vescovo, tratte da una lettera a lui indirizzata: “Hai donato filiale servizio, collaborando nel mio pellegrinare per la vita pastorale diocesana”. Ottenne in dono l’insegna episcopale dopo l’improvvisa morte del pastore; una missiva che accompagna la mitra e firmata dall’esecutore testamentario, don Riccardo Pezzoni, ne è testimone: “Mitra Bianca usata da S.E. Mons. Rossi Francesco, già Vescovo di Tortona, ausiliare dell’Arcivescovo di Milano per la pastorale della Sofferenza”. Ora Pestarino ha ritenuto opportuno che la custodia passasse alla chiesa che ha accolto il prelato agli inizi del suo ministero tortonese.

Mons. Rossi, appartenente al clero ambrosiano, dopo aver ricoperto molti incarichi pastorali ed essere stato cappellano militare in Africa settentrionale, nel 1953 fu inviato parroco dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster presso la basilica di san Vittore in Varese. Dieci anni più tardi, il 27 aprile del 1963, fu nominato vescovo di Tortona da S.S. Giovanni XXIII. Consacrato a Varese per le mani dell’arcivescovo milanese di allora, Giovanni Battista Montini, fece l’ingresso in Tortona il 23 giugno successivo. Nel frattempo il cardinale di Milano era diventato Papa con il nome di Paolo VI.

Il legame affettivo, di stima e di profonda amicizia da parte di Montini, prima arcivescovo e poi Papa, verso il suo sacerdote, è evidente. Lo testimonia la collaborazione e la fiducia riposta in don Francesco nella pastorale della Chiesa di Milano e, allo stesso tempo, le parole di augurio e benedizione inviate dal Pontefice per la presa di possesso della Diocesi di Tortona e riportate ne Il Popolo Dertonino (N. 26 del 27 giugno 1963).

Lo stesso vescovo Francesco non perse occasione di manifestare il legame stretto con il Pontefice Paolo VI. Per esempio, lo evidenzia la lettera inviata ai sacerdoti della Diocesi nell’ottobre del ’68: tra le indicazioni di carattere spirituale e pastorale, esaminò la nuova enciclica Humanae Vitae (promulgata nel luglio dello stesso anno) ed esortò il clero tutto, per il bene della famiglia, a “esporre senza ambiguità l’insegnamento della Chiesa” e che sia “impegnato a esporre ed applicare senza ambiguità e senza discordanza l’insegnamento del Magistero riaffermato dal Vicario di Cristo”. Nello stesso numero del settimanale diocesano è riportato il discorso del vescovo tenuto in cattedrale il giorno dell’ingresso: m’incuriosisce un passaggio con il quale il nuovo presule sottolinea il significato di “Vescovo mitrato”, inteso come immagine di Mosè che “guida le anime, conversa con Dio e che comunica al suo popolo i divini responsi”.

Un’altra curiosità, riportata nelle colonne del periodico, è la cronaca delle tappe di avvicinamento alla città di Tortona, il giorno dell’ingresso; la prima fu Casei Gerola, a motivo dell’uscita dell’autostrada. Ad accoglierlo, tra i tanti, anche il parroco don Pasqualino Garberi, ancora adesso di venerata memoria tra gli anziani del borgo. Il tratto caratteristico del ministero di Mons. Francesco Rossi è certamente la sua passione pastorale.

Pongo la domanda a Walter Pestarino, il quale non ha dubbi nella risposta: «Era un grande pastore, con il cuore in mano. La sua figura non è stata importante per le opere compiute o per i libri scritti. Egli è stato un uomo che, pur avendo raggiunto la dignità episcopale, non si è imposto, non ha trionfato. Eppure da lui emana, cordiale e severo a un tempo, un richiamo al valore di una “bontà fedele” che attira e desta interesse, quasi facendoci rimbalzare da una realtà tanto diversa nella quale viviamo». Anche l’allora direttore de Il Popolo, mons. Pier Giovanni Agnes, lo ricorda in un toccante editoriale, pubblicato in occasione della morte (N. 50 del 24 dicembre 1972), dall’eloquente titolo: “Il cuore gli prendeva la parola”.

Nel suo impegno di pastore aveva un’attenzione particolare alla cura dei giovani e dei sofferenti.

La prima è ben sottolineata in tante circostanze: nella sopracitata lettera ai sacerdoti della Diocesi raccomanda quanto succede circa il “movimento giovanile di contestazione” e li esorta a considerarlo un segno dei tempi da interpretare alla luce del Vangelo, mantenendo aperto il colloquio, senza turbarsi del temperamento esuberante che lo caratterizza.

Mi piace anche citare il pensiero riportato nel retro dell’immagine della visita pastorale nel Vicariato di Stradella: “A voi, carissimi giovani, che incontro in questa sacra visita pastorale come uomini e come cristiani, mi permetto di ricordare che: l’amicizia onora l’uomo, il cristiano la conserva, Iddio la ispira e la benedice”. Al secondo tratto pastorale, la cura dei sofferenti, ha consacrato gli ultimi anni della sua esistenza, con l’impegno ministeriale in mezzo alle persone ammalate e fragili. Il suo ultimo giorno di vita l’ha trascorso interamente nell’ospedale di neuropsichiatria infantile di Limbiate, portando sollievo e grazia sacramentale.

Doloroso è il ricordo legato alle dimissioni da vescovo della Diocesi, annunciate il 30 novembre del ’69. Hanno influito certamente il peso di una malattia cardiaca, causa della sua precoce morte, ma anche la fatica legata a una vicenda di cronaca, che non rese onore all’instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Saltò alla ribalta della stampa, non solo locale, il suo gesto paterno di benedire le nozze di un sacerdote “dispensato” dal ministero. Oggi l’episodio passerebbe inosservato, ma ai tempi non fu così. È probabile che l’amarezza per questo avvenimento, insieme alle preoccupazioni per il cuore affaticato di un “transatlantico che si muove nel Naviglio” (come lui si definiva a memoria del rev. don Carlo Bolchi), lo portarono a ritirarsi in punta di piedi.

A seguito della morte, in un trafiletto riportato nel settimanale dertonino, si afferma che Mons. Rossi volle lasciare alla Chiesa tortonese la sua croce pettorale. Tale notizia al momento è ancora da verificare nei fatti.

Qualche tempo dopo, il 2 aprile del 1973, in sua memoria, a Milano fu eseguito un concerto dalla corale della parrocchia San Michele e Santa Rita, della quale Mons. Francesco era stato parroco. In rappresentanza della nostra Diocesi erano presenti il sacerdote mons. Lino Zucchi e lo stesso Pestarino. Per concludere, prendo ancora una volta in prestito le parole di Mons. Agnes: a distanza di oltre mezzo secolo, emerge l’immagine di un “Vescovo Galantuomo”, che seppe dar seguito, nella sua vita, al motto episcopale annunciato in cattedrale il giorno del suo ingresso: “Dominus regnat, exultet terra”.

*Vicario Generale

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