Innocenti in carcere
Di Ennio Chiodi
Beniamino Zuncheddu oggi ha 59 anni. Ne aveva 26 e faceva il pastore quando, sulla base di testimonianze dubbie e in parte estorte, è stato condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai, nel Sud Sardegna, in cui furono uccise tre persone coinvolte in una faida locale. Beniamino Zuncheddu è innocente. Lo ha riconosciuto, nel gennaio del 2024, la Corte d’appello di Roma dopo 33 anni di carcere e di privazione della vita e degli affetti. Si tratta del più grave “errore giudiziario” nella storia della giustizia italiana: quando una persona, condannata in via definitiva, viene assolta in seguito a una procedura di revisione del processo, molto rara e sempre complessa. Se agli errori giudiziari veri e propri aggiungiamo i casi di persone sottoposte, anche per anni, a carcerazione preventiva in attesa del giudizio definitivo e poi assolte, otteniamo numeri sorprendenti e angoscianti. Dal 1992 al 2024 si registrano 32.000 casi per una spesa di indennizzi a carico dello Stato di circa 1 miliardo di euro. Il caso più noto ed esemplare di “ingiusta detenzione” ha riguardato il giornalista Enzo Tortora, conduttore di trasmissioni televisive molto popolari, arrestato in manette e condannato a dieci anni con l’accusa, infamante, per un personaggio così amato, di spaccio e traffico di droghe pesanti. È stato assolto con formula piena dopo vari processi e la galera. Ad accusarlo ingiustamente dichiarazioni di mafiosi pentiti ritenuti frettolosamente attendibili da giudici particolarmente distratti. Può capitare a tutti di avere la vita sconvolta da una falsa testimonianza, da una vendetta, dalla casua- lità di omonimie e coincidenze, dalla sciatteria di indagini mal condotte. A Enzo Tortora, ma non solo, avrebbe dovuto essere dedicata una giornata in ricordo delle vittime di errore giudiziario, prevista da un disegno di legge destinato a restare in attesa di approvazione. Il governo infatti «ha detto stop» – per ricordare una celebre frase di Tortora – invitando la maggioranza a congelare il provvedimento in Parlamento: meglio non disturbare il manovratore, con il rischio di ostacolare il confronto in corso su altri aspetti, più politici, dell’organizzazione della giustizia. L’attenzione ai diritti delle persone che attendono giudizio e giustizia, e al dolore – che immaginiamo insopportabile – delle migliaia di Enzo Tortora e Benia- mino Zuncheddu, delle loro famiglie, dei coniugi, dei figli, può essere accantonata. Più coraggio e più trasparenza possono invece dare ulteriore prestigio alla magistratura e alla stragrande maggioranza degli uomini e delle donne che compiono questo servizio con attenzione e dedizione, a costo di sacrifici personali e talvolta della stessa vita.
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