Io droppo, tu droppi…
di Silvia Malaspina e Carolina Mangiarotti
Nell’ultima settimana è diventata virale l’espressione “Droppare una foto su Instagram”, cioè pubblicare una foto, dall’inglese “to drop”, che significa “cadere, scendere”: il verbo calza a pennello, poiché per pubblicare una foto su questo social è necessario trascinare e poi rilasciare il file. Come se non bastasse, vi è stata associata una pratica scaramantica: chi non avesse “droppato” una fotografia dell’estate 2021, avrebbe avuto assicurata un’orribile estate 2022. È naturale che, dopo due anni segnati dalla pandemia, con una guerra sanguinosa alle porte dell’Europa, il carburante che ha raggiunto quotazioni tali per cui non è più un diamante ad essere “per sempre”, ma un carnet di buoni benzina, in molti si siano affrettati a pubblicare foto delle passate ferie, tentando di esorcizzare i timori per un futuro che appare quanto mai incerto.
«Cerca una foto delle vacanze e mettila su Instagram! Lo stanno facendo tutti: guarda che, se non lo fai, avrai una pessima estate 2022» «Non uso mai Instagram, non mi piace, preferisco Facebook, si può scrivere e commentare!» «Che antica! Facebook è il social degli anziani! Bisogna che ti riammoderni un po’!, Dai, cerca una foto della scorsa estate!» «Non ci penso nemmeno! A fine febbraio 2020 ho fatto l’esperimento della scopa che sta in piedi da sola e guarda che cos’è successo dopo nemmeno 10 giorni… Altro che evento che si verifica ogni 3500 anni! Il fatto straordinario era la pandemia, che stava per travolgerci, non queste notizie stupide di presunti fenomeni»
La diatriba non si placa e il discorso si allarga all’imbarbarimento che la nostra bistrattata lingua italiana sta subendo, soprattutto sui social e ad opera dei più giovani: «Non riesco a capire perché sia così di tendenza esprimersi con termini che non sono né stranieri, né italiani: perché bisogna prendere un termine inglese e provare a italianizzarlo, ottenendo un risultato terribile? Capisco che tanti termini inglesi siano ormai entrati a far parte del nostro linguaggio comune, ma almeno quelli hanno una natura ben definita: questi presunti neologismi mi sembra assomiglino molto al “noio volevam savuar” di Totò e Peppino a Milano» «Ma dai, non fare la talebana linguistica! È solo un gioco! Bisogna essere un po’ elastici». Caso ha voluto che, dopo nemmeno due ore da questa discussione, la stazione radio su cui siamo sintonizzate mentre stiamo affrontando un’elettrizzante sessione di scuola guida, inviti gli ascoltatori a spedire un messaggio vocale, anglicizzando il toponimo della città in cui vivono. «Ecco! Nel nostro caso: “Ciao, siamo Carolina e Silvia da Big Cake!»: la proposta arriva in prossimità di una curva a gomito: «Please, put your hands on the “volant”, i fear that we’ll go in to the “foss”!»
silviamalaspina@libero.it