Fonte: Asia News

La ‘­svolta religiosa’ di Kim Jong-un e la persecuzione religiosa

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Il dittatore nordcoreano si sarebbe inchinato al presidente della Conferenza episcopale del Sud, che gli aveva annunciato di voler informare il Vaticano dei suoi sforzi per la pace. L’invito al Papa e il “caldo benvenuto” annunciato da Pyongyang cozzano con la repressione totale operata in Corea del Nord contro il sentimento religioso sin dagli anni Cinquanta.

Seoul (AsiaNews) – Kim Jong-un “è pronto a dare un caldo benvenuto a papa Francesco, se questi dovesse visitare Pyongyang”. Lo avrebbe detto lo stesso dittatore nordcoreano durante lo storico summit di settembre in Corea del Nord con Moon Jae-in, presidente del Sud. Lo stesso Moon presenterà in maniera formale l’invito da parte di Kim a Francesco durante la sua visita a Roma e in Vaticano, prevista per il 17 e 18 ottobre prossimi.

Durante il medesimo summit, lo scorso 20 settembre, il leader nordcoreano ha conversato con il presidente della Conferenza episcopale sudcoreana, mons. Igino Kim Kim Hee-joong (v. foto). Il presule ha detto all’ospite che avrebbe informato il Vaticano degli sforzi per la pace in Corea, e Kim avrebbe risposto “Lo dica, la prego” inchinandosi.

La svolta religiosa del “Giovane maresciallo”, titolo ufficioso del dittatore del Nord, cozza in maniera stridente con la politica di suo padre e di suo nonno (Kim Jong-il e Kim Il-sung), che hanno sradicato con ferocia ogni forma di religiosità nel Paese stalinista.

In Corea del Nord è permesso soltanto il culto del defunto leader Kim Jong-Il e di suo padre Kim Il-Sung. Il regime ha sempre tentato di ostacolare la presenza religiosa, in particolare di buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la registrazione in organizzazioni controllate dal Partito. Sono frequenti le persecuzioni brutali e violente nei confronti dei fedeli non iscritti e di coloro che praticano l’attività missionaria. Da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300mila cristiani e non ci sono più sacerdoti e suore, uccisi durante le persecuzioni. Tristemente celebri sono le “marce della morte”, lunghissimi spostamenti a piedi imposti dal regime ai fedeli di ogni religione, in cui sono morti gli ultimi religiosi nordcoreani.

In Nord Corea ci sono 51 categorie sociali, decise dallo Stato: coloro che praticano una fede non controllata dal governo sono a priori negli ultimi posti, con meno opportunità per l’istruzione ed il lavoro, non ricevono sussidi alimentari e sono costantemente vittime di brutali violenze.

Pyongyang dichiara che la libertà religiosa è presente nel Paese e garantita dalla Costituzione: cifre governative ufficiali parlano di circa 10mila buddisti, 10mila protestanti e 4mila cattolici. Le stime del governo si riferiscono solo ai fedeli iscritti nelle associazioni riconosciute. A Pyongyang sono state costruite negli anni Ottanta del secolo scorso tre chiese, due protestanti e una cattolica. Nel 2006, grazie ai buoni uffici dell’ambasciata russa in Corea del Nord, il regime ha permesso la costruzione di una chiesa ortodossa.

In queste chiese, secondo alcuni testimoni che le hanno potute visitare, si fa soltanto propaganda al regime: all’interno operano “sacerdoti” che paragonano il “Caro leader” Kim Jong-Il ad un semidio. Nell’unica chiesa cattolica non opera alcun prete, ma vi si svolge solo una preghiera collettiva una volta a settimana.

Non è in alcun modo possibile confermare o meno la presenza di cristiani nel Paese. La Chiesa cattolica sudcoreana ritiene che ve ne siano ancora alcuni – quantificabili in centinaia di persone – che vivono in maniera clandestina la propria fede. È certo che, prima dell’instaurazione del regime stalinista, il Nord aveva una percentuale molto alta di cristiani (quasi il 30% della popolazione della capitale) al punto che Pyongyang era definita “la Gerusalemme dell’Asia”.

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